DEPOSITO NAZIONALE RIFUTI RADIOATTIVI. A CHE PUNTO SIAMO?”

Segue il comunicato stampa.
Roma, 30 marzo 2015 - In apertura il presidente dell’associazione “SI alle Fonti Rinnovabili, NO al Nucleare”,Vittorio Bardi, ha presentato laCommissione Scientifica sul Decommissioning, istituita con le più alte competenze in materia: dal suo presidente, prof. Giorgio Parisi, premio Planck della Fisica mondiale, al prof. Massimo Scalia, Fisico e storico leader ambientalista, già presidente della Commissione d’Inchiesta sui rifiuti, che per prima portò all’attenzione del Parlamento la questione della gestione delle scorie radioattive con un ampio documento presentato nel 1999.
“Bisogna ripartire dalle indicazioni di quel documento, ha affermato Bardi, perché dopo il disastro combinato dal governo Berlusconi col decreto ‘Scanzano’ (2003) la credibilità dello Stato in materia di sicurezza, trasparenza e condivisione delle decisioni è andata in frantumi”. “La ribellione dei centomila in Basilicata è stato un grande episodio di lotta civile, e vincente; e poi, un esempio concreto, nella varietà delle esperienze diverse messe in gioco, ditransdisciplinarietànella costruzione del sapere. E proprioa questo principio è ispirata la composizione della Commissione:non solo scienziati al massimo livello delle molte discipline coinvolte, ma i protagonisti delle battaglie sul territorio e delle associazioni ambientaliste”.
Giorgio Parisiha rilevato che nonostante gli ottimismi iniziali, nel passaggio dalla bomba atomica all'uso civile dell'energia nucleare, si devono ancora affrontare problemi non risolti di sicurezza. “Al di là di Three Miles Island, Cernobyl, Fukushima e delle migliaia di incidenti minori che costellano la quotidiana attività degli impianti per la produzione elettronucleare, il problema principale è chenon abbiamo ancora una strategia chiara sulcontrolloefficacedella radioattività e della contaminazione radioattiva, sia nella fase dell’esercizio dei reattori nucleari cheper la gestione delle scorie radioattive”, ha affermato il premio Planck. “Un deposito per i rifiuti di bassa e media attività impegna le prossimecentinaia d’anni; e per i rifiuti contempi di dimezzamento di decine di migliaia di annigli scenari travalicano di gran lunga la nostra ordinaria percezione”, ha ricordato Parisi.  “Anche se abbiamo alle spalleil fallimento del deposito di Yucca Mountain negli Usae igrandi progetti scientificiper trasformare i radionuclidi a vita media lunghissima in radionuclidi gestibili a corta vita mediastanno battendo il passo,spetta a tutti noi– scienziati, stakeholders e cittadini – il compito di trovare le soluzioni tecnicamente e scientificamente più affidabili ma anche socialmente sostenibili, nel contesto di scelte che, riguardando comunicazione, cultura, società e persone, vanno affronate nellademocraziae nellatrasparenza delle decisioni.”,ha concluso Parisi.
Per l’ingegnerRoberto Mezzanotte, già Direttore del Dipartimento Nucleare di ISPRA,la destinazione dellamaggior parte dei rifiuti75 mila metri cubi circa, abassa e media attività(seconda categoria) –in un impianto di smaltimento di tipo superficiale è una soluzione tecnicamente possibile e largamente condivisa. ISPRA non ha invece emanato una linea guida per i15 mila metri cubi di rifiutiad alta attività(terza categoria). Sul lorosmaltimento in un sitogeologico profondoesistonoriserve molto forti sul piano tecnico-scientifico. “E poi quella scelta, oltre a precludere, di fatto, soluzioni diverse che la ricerca potrebbe offrire, non torna coi tempi lunghi necessari per qualificare un sito geologico, mentre il rientro dei rifiuti di terza categoria, ‘condizionati’ in Francia e in Inghilterra, è atteso per i prossimi anni.” Si potrebbe invece considerare l’ipotesi diun “deposito di lungo termine (50-100 anni)per l’alta attività, dove i rifiuti possono essere custoditi incondizioni di sicurezza ottimali, dando tempo a scienza e tecnologia di offrire delle soluzioni o agli organi della UE diindividuare un sito ‘regionale’ comune.” In tutto l’iter che si è appena aperto la Commissione porrà la massima attenzione ai vari passaggi e, soprattutto, al rispetto della legislazione italiana “che pertutelare le popolazioni dalle radiazioniimpone a ogni progetto, e quindi anche aldeposito nazionale,il requisito molto stringente di unadose massima pari a quella internazionalmente indicata come trascurabile(10 microSievert/anno)”.
Sulla nuovaclassificazione dei rifiuti radioattiviprevista dal Dlgs n. 45, che il Ministero dell’Ambiente ha affidato a ISPRA,Paolo Bartolomei, parlando a nome dell’Osservatorio Chiusura Ciclo Nucleare, ha rilevato come sia improprio mettere mano alla classificazione mentre il governo è in ritardo su passaggi importanti quali lacostituzione dell’ISIN– la nuova autorità per la sicurezza nucleare – e ilprogramma nazionale di gestione dei rifiuti radioattivi. “Si rischia, inoltre, di ingenerare ulteriore confusione nel settore: l’attuale classificazione è infatti molto chiara dal punto di vista operativo, mentrel’introduzione di livelli dirifiuti intermedi, quali previsti dalla bozza di ISPRA, può autorizzarelogiche gestionali diverse e meno sicure”. Il DLgs n.45 contempla poi anche l’emanazione di un provvedimento del Ministero dello Sviluppo chefissi la soglia di attività al di sotto della quale un materiale non è più considerato radioattivo: “Per questo aspetto sono evidenti le competenze del Ministero della Salute, intimamente legato com’è alla valutazione deglieffetti di microdosi di radiazione protratte su tempi estremamente lunghi.La discussione scientifica non è ancora pervenuta a conclusioni univoche e condivise.” Bartolomei ha concluso osservando che intervenire su questi temi con deidecreti ministeriali, che sono per loro natura limitati e parziali,non sembra la scelta migliore; al contrariosi deve sviluppareun’ampia e trasparente discussione “come avviene abitualmente nei paesi europei ‘normali’ ”.
Massimo Scaliaha esordito: “Gli impianti nucleari italiani sono stati messi in custodia passiva nel 1990, la questione del decommissioning è stata sollevata sia in sede tecnica che davanti al Parlamento alla fine degli anni ’90, ma nonostante le sollecitazioninon c’è stata nessuna risposta di tipo industriale.” Analogamente, a livello mondiale. Infatti il declino dell’industria nucleare, evidente già prima di Fukushima sotto l’incalzare delle energie rinnovabili – il loro contributo era divenuto superiore di oltre tre volte a quello del nucleare –, erano elementi tali per cui “l’industria nucleare tentasseuna parziale riconversionenel decommissioning. Non ve n’è traccia, mentre proprioquest’anno ben 91 centrali nucleari raggiungono i 40 anni di vitaed è difficile pensare auna proroga di altri 20 anni d’esercizio.Ci sarebbe spazio anche per l’industria italiana!”. In questo contesto la SOGIN, nata come costola dell’Enel e forte di molte centinaia di tecnici e di ingegneri, ha un palmares poco entusiasmante: redarguita dall’AEEG nel primo triennio di esercizio 2002-2004 e giudicata“inadeguata” alla sua missiondalla Commissione nazionale sulla sicurezza nucleare (2007), ha presentato nel 2011un piano industrialeconun vistosospostamento in avanti dei tempi previsti per le varie fasi del decommissioning. “Il sostanzialescontro di linee, nelle recenti audizioni al Senato,tra il Presidente e l’AD di SOGIN non giova certo al nuovo piano industriale e alla Società nel suo complesso. Per questoci impegneremo perché laqualificazione tecnica del sitoper il deposito, a carico di SOGIN,venga monitorata anche daesperti di fiducia delle popolazioni locali interessate”, ha concluso Scalia.  

Nessun commento:

Posta un commento