Nucleare, il 3 a Scanzano J. dibattito su deposito rifiuti

Pubblicato da agenzia AdnKronos

E’ necessario chiarire e approfondire gli elementi della realizzazione del deposito nazionale dei rifiuti radioattivi. Qual è la tipologia di deposito, quali sono le aree interessate? Quali procedure sono previste e con quali tempi? Ci sono criticità che vanno sollevate? L’associazione antinucleare ScanZiamo le Scorie ne discute con i volontari in un incontro che si terrà il 3 gennaio 2015, giorno entro il quale la Sogin presenterà all’Istituto superiore per la Protezione e la Sicurezza ambientale (Ispra) la proposta di Carta nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee (Cnapi) ad ospitare il Deposito Nazionale. Dopo 11 anni di inerzia – sostiene l’associazione in una nota - non si può non partire dalla lezione di Scanzano, ricordiamolo, un errore sia tecnico che politico. In questa fase è importante attivare dei processi di trasparenza per conoscere e affrontare un problema ancora irrisolto nel mondo. L’incontro è aperto al pubblico e potrà essere seguito in streaming dalla pagina facebook Tienilammente. Per maggiori informazioni www.scanziamolescorie.blogspot.it/ bas 02

VERSO IL DEPOSITO NAZIONALE DEI RIFIUTI RADIOATTIVI - La guida tecnica 29 dell’ISPRA: il primo passo(?)

Pubblicato da www.astrolabio.amicidellaterra.it
di Roberto Mezzanotte 
 
Nel giugno scorso, a distanza di molti anni dall’ultima analoga pubblicazione, l’ISPRA, Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, nella sua veste di autorità nazionale per il controllo sulla sicurezza nucleare e la radioprotezione, ha emanato una nuova guida tecnica, la n. 29, che indica i criteri per la localizzazione dell’impianto di smaltimento dei rifiuti radioattivi a bassa e media attività.
La ripresa della pubblicazione di guide tecniche (l’ISPRA ne annuncia già un’altra) rappresenta di per sé un fatto ampiamente positivo. Nell’attuale situazione italiana, dove, salvo qualche eccezione minore, la SOGIN è l’unico esercente di impianti nucleari, tutti peraltro da lungo tempo fermi e destinati allo smantellamento, ed è anche il soggetto incaricato della realizzazione e della successiva gestione del deposito nazionale dei rifiuti radioattivi, le indicazioni dei requisiti tecnici di sicurezza da parte dell’autorità di controllo possono essere dati all’esercente anche in modo diretto, senza dover necessariamente ricorrere alla diffusione di documenti specifici, come deve invece essere quando – è il caso ad esempio degli Stati Uniti - gli interlocutori dell’ente di controllo ai quali quei requisiti sono destinati sono numerosi. Tuttavia, la divulgazione dei criteri e dei requisiti di sicurezza attraverso guide tecniche dell’autorità di controllo, anche quando il soggetto tenuto ad applicarle è uno solo, costituisce uno strumento di informazione generale ed un elemento di trasparenza. E se informazione e trasparenza sono sempre necessari, divengono indispensabili quando il tema in discussione è la localizzazione di un’opera, come il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi, la cui necessità è unanimemente condivisa, ma che nessuno sembra ancora disposto a vedersela realizzare dalle proprie parti.
L’unanime condivisione della necessità dell’opera e della sua urgenza (oltre 28 mila metri cubi di rifiuti già presenti nei siti di produzione sparsi sul territorio nazionale e in attesa di sistemazione, circa altrettanti da produrre con lo smantellamento degli impianti nucleari, il rientro dei rifiuti prodotti in Inghilterra e in Francia con il riprocessamento del combustibile nucleare delle centrali italiane, il programma di tale rientro che, per quanto riguarda la Francia, dovrà essere definitivamente stabilito in accordo con la Francia stessa entro il 2018 – vale a dire ormai domani) aveva fatto ritenere – o comunque sperare - che i tempi per la definizione dei criteri per la localizzazione del deposito nazionale sarebbero stati più rapidi, essendo tale definizione l’inevitabile atto iniziale di un percorso lungo e complesso. Infatti il decreto legislativo n. 31, emanato il 15 febbraio 2010, nello stabilire le norme procedurali per la localizzazione e la realizzazione del deposito, ha previsto che il primo passo dell’iter fosse proprio l’indicazione di tali criteri. La durata complessiva del percorso fissato dal decreto, ben oltre un quinquennio anche a voler essere molto ottimisti, sembrava suggerire – se non imporre – un avvio per quanto più possibile sollecito. Sono stati necessari invece più di due anni già solo per superare un primo ostacolo di natura formale: il fatto che il decreto n. 31 aveva affidato la definizione dei criteri all’Agenzia per la sicurezza nucleare, ente allora previsto dalla legge, ma di fatto mai nato (verrà ufficialmente soppresso nel dicembre 2011), e l’interpretazione prevalente era che tale compito, pur nell’attesa dell’operatività della nuova Agenzia, non potesse essere svolto dall’ISPRA, che nel frattempo continuava invece ad esercitare, come fa ancora oggi, tutte le altre funzioni di autorità di controllo nucleare che le leggi anteriori all’istituzione dell’Agenzia gli attribuivano.
Gli indugi vennero rotti dal Ministro dello sviluppo economico pro tempore, il quale, come dichiarò nel luglio 2012 nel corso di un’audizione innanzi alla Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti, chiese all’ISPRA di procedere alla definizione dei criteri, in modo tale che – era la previsione del Ministro – la SOGIN, in base a quei criteri, potesse poi a sua volta presentare la proposta di carta nazionale delle aree potenzialmente idonee alla localizzazione del deposito “presumibilmente entro il giugno 2013”.
In realtà i tempi si sono protratti maggiormente. Appare verosimile che la prima stesura del testo non abbia richiesto all’ISPRA tempi particolarmente lunghi, ma che a pesare di più siano stati i confronti internazionali che, opportunamente, come lo stesso Istituto riferisce nella relazione illustrativa pubblicata insieme alla guida tecnica, l’ISPRA ha ritenuto di svolgere con gli enti omologhi di alcuni paesi europei e quindi con l’AIEA, una fase che si è conclusa nell’ottobre 2013. Successivamente sono sati consultati enti tecnici italiani (ENEA, CNR, Istituto Geografico Militare, Istituto Superiore di Sanità, Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) e la stessa SOGIN. A seguito della valutazione e dell’eventuale recepimento delle osservazioni ricevute, la guida, nella sua versione definitiva, è stata finalmente pubblicata.
Sarebbe stato forse possibile aprire, in parallelo con le consultazioni degli enti italiani e quindi senza alcun ulteriore allungamento dei tempi, la discussione a una platea più ampia, ad esempio pubblicando la guida in forma di bozza per commenti, come a suo tempo fu fatto per quella che è ad oggi la più nota ed utilizzata tra le guide emesse dall’ente di controllo, la guida tecnica n. 26 sulla gestione dei rifiuti radioattivi. Suggerimenti migliorativi sul piano tecnico non ne sarebbero probabilmente venuti, ma possibili vantaggi sul piano dell’immagine e della trasparenza, sì.
Ci si può chiedere se la guida tecnica n. 29 corrisponda pienamente a quanto richiesto dal decreto legislativo 31/2010.
Sotto questo profilo va detto innanzi tutto che nella guida, già a partire dal suo titolo, viene chiaramente esplicitata una scelta che nel decreto può essere ritenuta sottintesa, ma non è formalmente espressa: il deposito assunto a riferimento per la definizione dei criteri di localizzazione è di tipo superficiale.
Questa scelta non può che essere ampiamente (e facilmente) condivisa, sia perché quello superficiale è stato, per i rifiuti a bassa e media attività, il tipo di deposito indicato come preferibile da quanti, enti competenti, commissioni e gruppi di lavoro ad hoc, si sono espressi da ormai vent’anni a questa parte; sia perché, come detto, lo stesso decreto legislativo 31, pur non indicando espressamente il tipo di opera da realizzare, ha stabilito alcuni termini temporali per il processo di localizzazione che, ancorché ordinatori, sarebbero incompatibili con la qualificazione e l’autorizzazione del sito per un deposito di tipo geologico.
D’altra parte, la considerazione dei diversi tempi necessari per la localizzazione di un deposito geologico o di un deposito superficiale costituisce, nella situazione di urgenza in cui ci si trova in Italia per la gestione dei rifiuti radioattivi, un elemento non secondario della scelta, insieme ovviamente al fatto che un impianto di tipo superficiale è pienamente idoneo allo smaltimento di rifiuti a bassa e media attività.
Vi è invece un aspetto per il quale l’aderenza della guida al decreto legislativo appare imperfetta.
Nel decreto, il deposito nazionale è definito come l’opera destinata “allo smaltimento a titolo definitivo dei rifiuti radioattivi a bassa e media attività … e all'immagazzinamento, a titolo provvisorio di lunga durata, dei rifiuti ad alta attività e del combustibile irraggiato provenienti dalla pregressa gestione di impianti nucleari”. Della seconda parte dell’opera complessiva nella guida tecnica non vi è traccia: a iniziare dal titolo e per tutto il testo si parla unicamente di rifiuti a bassa e media attività.
Del deposito provvisorio dei rifiuti ad alta attività e del combustibile irraggiato si fa invece menzione nella relazione illustrativa che accompagna la guida, dove si dice che “Un sito ritenuto idoneo per la localizzazione di un impianto di smaltimento superficiale di rifiuti radioattivi a bassa e media attività sulla base dell’applicazione di criteri di selezione … quali quelli individuati nella Guida Tecnica può ritenersi idoneo … anche per la localizzazione di un deposito di stoccaggio di lungo termine”. Al di là della forma verbale utilizzata (“può ritenersi”), forse non la più adatta per esprimere un criterio di sicurezza, che appare così posto nel campo dell’opinabilità, ciò che suscita qualche dubbio è il senso da attribuire all’insistito richiamo che nella relazione viene fatto alla necessità di verificare la compatibilità delle caratteristiche del deposito di stoccaggio dell’alta attività con quelle del sito prescelto. A tale richiamo possono essere attribuiti due significati: o si tratta della considerazione, ovvia e valida in generale per ogni opera e non solo per il deposito di stoccaggio in questione, che la progettazione deve essere congruente con le caratteristiche del sito scelto (non basta, ad esempio, che il massimo terremoto atteso sul sito sia inferiore ad un dato valore di riferimento, ma è anche necessario che le strutture siano poi progettate, con i dovuti margini, per resistere a quel terremoto); oppure – considerazione specifica per il caso in questione - che un sito selezionato nel rispetto dei criteri definiti per la localizzazione di un impianto di smaltimento di rifiuti a bassa e media attività potrebbe, in realtà, non risultare idoneo ad ospitare un deposito di stoccaggio di lungo termine di rifiuti ad alta attività e di combustibile irraggiato, realizzato secondo gli standard normali per quel tipo di opera. Va da sé che se il significato da attribuire al richiamo fosse quest’ultimo, la mancanza nella guida di un riferimento diretto all’alta attività avrebbe un peso maggiore.
Ma, sempre per quanto attiene al deposito di lungo temine per l’alta attività, la relazione illustrativa presenta, in confronto al decreto legislativo 31, un altro aspetto, per così dire, curioso. Il decreto legislativo è molto preciso nel definire il deposito nazionale come un’opera unica, che include un impianto di smaltimento per i rifiuti radioattivi a bassa e media attività e, appunto, il deposito temporaneo di lungo termine per i rifiuti ad alta attività e per il combustibile irraggiato. A rendere incontrovertibile l’indicazione di unicità dell’opera e del sito vi è anche il fatto che il deposito nazionale (con entrambi quindi gli elementi di cui si compone) deve essere posto all’interno di un unico “parco tecnologico”, un’indicazione chiaramente tesa a rendere l’opera stessa più appetibile o, se si vuole, meno invisa al territorio che dovrà ospitarla.
Ora, oltre al fatto già osservato che il deposito per l’alta attività non è in alcun modo menzionato nel corpo della guida tecnica, la precisa indicazione di legge sull’unicità del sito viene presentata, nella relazione illustrativa, alla stregua di una mera ipotesi, conclusa con il ribadire la necessità - nel caso della scelta di un sito unico - della verifica della compatibilità del deposito per l’alta attività con le caratteristiche del sito stesso: “Qualora nel sito che sarà ritenuto idoneo sulla base dell’applicazione di tali criteri [quelli per la localizzazione dell’impianto di smaltimento della bassa e media attività NdA] si intenda, come previsto dal D.Lgs. n. 31/2010, realizzare anche un deposito di stoccaggio provvisorio di lungo termine per i rifiuti radioattivi ad alta attività e per il combustibile irraggiato residuo, dovrà essere fornita evidenza, nell’ambito delle relative procedure autorizzative, della piena compatibilità di tale tipologia di deposito con il sito prescelto”.
Se si volesse attribuire un significato a tutti questi elementi verrebbe quasi da pensare che l’ISPRA abbia inteso suggerire una riconsiderazione della scelta sancita dal decreto legislativo, o che abbia preso atto di un eventuale ripensamento in corso in altre sedi. Conoscendo tuttavia le posizioni che hanno da sempre contraddistinto l’ente di controllo, questa possibilità non sembra realisticamente da prendere in conto. È però certo che l’ipotesi non potrebbe neppure essere adombrata se il deposito di lungo termine fosse stato almeno menzionato nel corpo della guida tecnica, se la validità dei criteri di localizzazione anche per tale deposito fosse stata affermata con maggior decisione, se l’unicità del sito fosse stata presentata per quello che è: non una vaga possibilità, ma una scelta logica e legislativamente codificata.
Infine, una considerazione di merito.
La guida definisce due insiemi di criteri, detti rispettivamente criteri di esclusione e criteri di approfondimento. I primi servono ad effettuare una preliminare “scrematura” del territorio nazionale, eliminando tutte le aree che non rispondono a predeterminati requisiti fondamentali. I secondi consentono invece di compiere una ulteriore valutazione delle aree che hanno superato la prima selezione, valutazione che può portare a sua volta all’esclusione di aree, ovvero a una graduatoria della loro idoneità.
Sembra ovvio che, così definiti, i criteri di esclusione debbano essere stabiliti attraverso soglie determinate o comunque indicazioni precise, e ciò è tra l’altro confermato dalla stessa guida tecnica, ove questa dice che “L’applicazione dei “Criteri di Esclusione” è effettuata attraverso verifiche basate su normative, dati e conoscenze tecniche disponibili per l’intero territorio nazionale e immediatamente fruibili, anche mediante l’utilizzo dei Sistemi Informativi Geografici”. Si tratta insomma di riscontri relativamente semplici e immediati. D’altra parte, il fatto stesso che siano stati previsti criteri di approfondimento è implicita conferma che quelli di esclusione non richiedono valutazioni più complesse della verifica di una soglia o del riscontro di un’indicazione.
E di fatto, alcuni criteri di esclusione sono definiti attraverso soglie o indicazioni specifiche e precise, ma non tutti.
Il caso forse più evidente è il criterio di esclusione per inadeguata distanza dai centri abitati, distanza che, si limita a dire la guida, “deve essere tale da prevenire possibili interferenze durante le fasi di esercizio del deposito, chiusura e di controllo istituzionale e nel periodo ad esse successivo, tenuto conto dell’estensione dei centri medesimi”.
Prescindendo dalla difficoltà di escludere a priori, nella realtà italiana, ogni “possibile interferenza” con i centri circostanti (tenendo tra l’altro conto che il deposito nazionale dovrà essere collocato all’interno di un parco tecnologico, difficilmente enucleabile da un contesto territoriale), sembra evidente che, indicato in tal modo, il criterio potrà essere applicato solo in fase di approfondimento e che pertanto la definizione di un criterio, in termini di raggio di esclusione in funzione della popolazione residente nei diversi centri, in base al quale effettuare la prima selezione viene di fatto così lasciata al soggetto attuatore, la SOGIN.
Vi è poi qualche altro caso in cui il criterio di esclusione non sembra tanto definito quanto potrebbe forse apparire. Un esempio è il vulcanismo, per il quale si rimanda all’articolo di L. Serva su questo stesso numero de “l’Astrolabio”.
Un problema diverso può derivare dal criterio di esclusione per le aree ad elevata sismicità. In questo caso le indicazioni della guida potrebbero portare all’esclusione – a rigore – dell’intero territorio nazionale, a meno di non voler legare l’idoneità di un’area ad un’opinabile valutazione del periodo di ritorno di eventi di una data, moderata intensità. Anche in questo caso si rinvia all’articolo di Serva.
Al di là della mancata, formale considerazione dei rifiuti ad alta attività e del combustibile irraggiato, che si spera potranno comunque essere ospitati sul sito che verrà selezionato, con la pubblicazione della guida tecnica dell’ISPRA il primo passo di un lungo e prevedibilmente arduo percorso che dovrà auspicabilmente portare alla realizzazione del deposito nazionale per i rifiuti radioattivi è stato finalmente compiuto. Si può dire - e lo si è qui detto - che avrebbe forse potuto essere più rapido, più deciso, più preciso. Ma quel che ora più conta è che tutti gli attori che la complessa procedura chiama in causa svolgano adesso il proprio ruolo con il massimo impegno. Si tratta di dare soluzione a un vero problema nazionale e di far fronte a una situazione di urgenza prima che si verifichino situazioni di emergenza.
La mancata realizzazione dell’opera lascerebbe i rifiuti radioattivi dove oggi si trovano: sparsi su siti che, per quei fini, nessuno ha mai scelto, per i quali nessun criterio di selezione è stato mai scritto e, verisimilmente, neppure pensato.
Per supplire alla mancanza del deposito nazionale, su quei siti sono stati costruiti o si stanno costruendo depositi che dovranno ospitare i rifiuti già presenti e quelli che si produrranno con lo smantellamento degli impianti. La situazione che si creerà sarà certamente meno precaria rispetto all’attuale; ma quei depositi non potranno mai comunque essere impianti di smaltimento, e se la nostra generazione non sarà stata capace di dare risposta al problema, questo graverà inevitabilmente ed indebitamente sulle prossime. Non avremo fatto una bella figura.

VERSO IL DEPOSITO NAZIONALE DEI RIFIUTI RADIOATTIVI - Vulcani e terremoti


Pubblicato da www.astrolabio.amicidellaterra.it

di Leonello Serva

E’ piuttosto difficile commentare la Guida Tecnica (GT) dell’ISPRA: se, da un lato, la stessa cerca di applicare criteri molto pragmatici, dall’altro, questo pragmatismo nel contesto italiano si può prestare a contenziosi che non assicurano affatto il conseguimento del fine prefisso. Il fine, considerando la situazione attuale dei depositi per i rifiuti radioattivi a bassa e media attività, dovrebbe essere quello di selezionare il sito nel minor tempo possibile.  
Come riportato nella Relazione Illustrativa alla GT, qualora il deposito nazionale per rifiuti radioattivi non venisse realizzato, tutti gli esercenti, responsabili dei rifiuti radioattivi di pertinenza, dovranno garantirne la conservazione in sicurezza realizzando presso ciascun impianto idonee strutture per lo stoccaggio a lungo termine. Ciò significherebbe una improponibile proliferazione di siti di stoccaggio nell’intero territorio nazionale, anche in impianti localizzati in aree ad elevata pericolosità naturale.
L’individuazione del sito dove realizzare il deposito è quindi assolutamente necessaria e, in un contesto geologicamente complesso quale quello italiano, al fine di non escludere tout-court la quasi totalità del territorio nazionale, i criteri di esclusione devono essere accuratamente ponderati.
Al fine di chiarire meglio quanto detto, si presentano di seguito due esempi in riferimento ai primi due criteri di esclusione (rischio vulcanico e rischio sismico). E’ importante altresì sottolineare che la mancanza di un capitolo contenente le definizioni dei termini utilizzati nella Guida causa ulteriori problemi di applicazione.

Il primo criterio di esclusione: il CE1, aree vulcaniche attive o quiescenti. Sono quelle aree che presentano apparati vulcanici attivi o quiescenti, quali: Etna, Stromboli, Colli Albani, Campi Flegrei, Ischia, Vesuvio, Lipari, Vulcano, Panarea, Isola Ferdinandea e Pantelleria. (Terminologia  ripresa  pragmaticamente da quella del Dipartimento  Nazionale della Protezione Civile, ma che lascia molte perplessità; qualcuno può pensare di costruire un sito su un vulcano sottomarino?).
La guida fornisce un elenco dei vulcani italiani tradizionalmente ritenuti attivi ma, di fatto, non fornisce criteri per la definizione dello stato di attività dei vulcani/campi vulcanici e dell’estensione delle aree da escludere.
L’individuazione delle aree potenzialmente interessate da significative manifestazioni vulcaniche non è semplice come può apparire, a partire dalla stessa definizione di vulcano attivo/quiescente. 
Convenzionalmente, vengono individuati come attivi i vulcani che hanno manifestato attività nel corso dell’Olocene, cioè negli ultimi 10.000 anni (vedi ad esempio Simkin and Siebert, 1994). Diversi autori sottolineano però come molti vulcani abbiano eruttato dopo periodi di inattività superiori ai 10.000 anni e che quindi le considerazioni sulla pericolosità vulcanica non possono essere limitate all’Olocene (vedi IAEA, 2012; Connor et al., 2009). Secondo una più rigorosa definizione si considerano attivi ma in uno stato di quiescenza i vulcani il cui tempo di riposo attuale è inferiore al più lungo periodo di riposo registrato in precedenza. Definizione sicuramente più precisa, ripresa anche sul sito della Protezione Civile, ma che richiede una accurata conoscenza della storia eruttiva di ogni vulcano. Nonostante le informazioni in proposito siano, in modo riconosciuto, tra le più dettagliate al mondo, è probabile che esistano ancora delle significative lacune conoscitive.
Oltre alla definizione dello stato di attività sarebbe fondamentale fornire i criteri per individuare l’area che può essere interessata da manifestazioni vulcaniche in grado di arrecare seri danni al sito che in tal caso verrebbe escluso. Ovviamente, tale area varia in funzione del tipo e dell’intensità del fenomeno vulcanico preso in considerazione: è necessario quindi in ogni caso riferirsi ad un’eruzione specifica. Considerando che è necessario ragionare sul lungo periodo, l’eruzione di riferimento deve essere la massima registrata nel record geologico o quella attualmente ritenuta la massima attesa? C’è forse qualche vulcanologo che si senta in grado di affermare con certezza che nell’arco di “un periodo di tempo dell’ordine di alcune centinaia di anni” non si possa verificare un’eruzione catastrofica nelle aree vulcaniche italiane? I prodotti di una simile eruzione potrebbero arrecare danni ad impianti distanti molte decine di chilometri dal centro eruttivo. Non si tratta quindi solo di escludere, come fa la GT, le aree caratterizzate dalla presenza di “apparati vulcanici attivi o quiescenti”, ma di compiere valutazioni più ampie e sistematiche delle diverse cause di rischio per l’opera da realizzare.
In conclusione, quindi, sarebbe stato forse preferibile un approccio più pragmatico, escludendo tutte le aree italiane dove sono presenti vulcani con manifestazioni significative in tempi storici e rimandando alla fase di approfondimento la valutazione, anche in termini di ampiezza, delle altre aree interessate da vulcanesimo più o meno recente. In altre parole, si potrebbero escludere, in prima analisi, le aree interessate da piani di emergenza per il rischio vulcanico e quelle interessate da colate laviche o da flussi piroclastici significativi in tempi storici se non hanno piani di emergenza, per poi seguire, per tutte le aree vulcaniche italiane, l’approccio indicato dalla IAEA, in particolare nella guida IAEA SSG-21 : Volcanic Hazards in Site Evaluation for Nuclear Installations. Specific Safety Guide. Vienna 2012 (tenendo conto che i vulcani “quiescenti” sono in parte assimilabili a quelli capable  secondo tale documento IAEA), dove per definire il rischio vulcanico in un sito viene indicato lo schema qui sotto riportato.
Figura 1. Approccio metodologico per la valutazione del rischio vulcanico(modificato da IAEA SSG-21(2012)
Nel documento IAEA, è chiaramente espresso che, se un certo sito è essere interessato da un fenomeno (sia esso proveniente da un vulcano attivo o quiescente) tra quelli elencati nella tabella sotto, esso deve essere valutato in termini di rischio vulcanico. Ad esempio, è necessario valutare anche se nel nostro sito possa cadere una certa quantità di piroclastiti provenienti da un apparato vulcanico più o meno vicino.
Tabella 1. Fenomeni vulcanici potenzialmente avversi alle installazioni nucleari

Fenomeni
Caratteristiche potenzialmente avverse per installazioni nucleari
Viene considerata una condizione di esclusione allo stadio di selezione del sito?
Sono possibili effetti di mitigazione per mezzo di misure su disegno e sulle condizioni operative?
1. Tephra fallout
Carichi fisici stabili statici, particelle abrasive corrosive nell’aria e nell’acqua
no
Si
2. Correnti di densità piroclastica: flussi piroclastici, surges e esplosioni
Carichi fisici dinamici, sovrappressioni atmosferiche, impatti di proiettili, temperature maggiori di 300 centigradi, particelle abrasive, gas tossici
si
No
3. Flussi di lava
Carichi fisici dinamici, fenomeni alluvionali e di eccesso di acqua, temperatura maggiore di 700 centigradi,
si
No
4. Materiale di valanghe, frane e frane di pendio
Carichi fisici dinamici, sovrapposizioni atmosferiche, impatti di proiettili, alluvioni e eccessi d’acque
si
No
5. Flusso di detriti vulcanici, lahars e alluvioni
Carichi fisici dinamici, alluvioni e eccessi d’acqua, particolato sospeso in acqua
si
Si
6. Apertura di nuove bocche
Carichi fisici dinamici, deformazione del suolo, terremoti vulcanici
si
No
7. Missili generati da vulcani
Impatti di particelle, carichi fisici statici particelle abrasive in acqua
si
Si
8. Gas vulcanici e areosol
Gas tossici e corrosivi, pioggia acida, laghi caricati di gas, contaminazione dell’acqua
no
Si
9. Tsunami, spighe, rottura di laghi craterici ed esplosioni glaciali
Inondazioni di acqua
si
Si
10. Fenomeni atmosferici
Sovrapposizioni dinamiche, scarichi di fulmini, venti provenienti dall’esplosione
no
Si
11. Deformazione del terreno
Movimenti del terreno, subsidenza o sollevamento, piegamento del terreno, frane
si
No
12. Terremoti vulcanici e rischi collegati
Terremoti continui, shocks multipli, in genere terremoti di magnitudo M<5
no
Si
13. Sistemi idrotermali e anomalie della tavola d’acqua
Acque termali, acque corrosive, contaminazione dell’acqua, inondazioni o risalita dell’acqua, alterazioni idrotermali, frane, modificazione del karst e del thermokarst, cambiamenti improvvisi nella pressione idraulica
si
Si
Nota: quando appaiono due si nelle due colonne, è l’entità del fenomeno ad essere rilevante.
Nella tabella sono indicati i fenomeni vulcanici e le caratteristiche associate che potrebbero avere effetto sulle installazioni nucleari con implicazioni per la selezione del sito e per la valutazione del progetto.  Per ogni tipo di manifestazione vulcanica che possa interessare il sito, devono essere fissati dei criteri, deterministici e/o probabilistici. Tali criteri non possono essere tarati sull’eruzione massima attesa nel breve periodo (ad esempio, quella del 1631 per il Vesuvio) ma su quella più probabile nell’arco di molte centinaia di anni, che può essere anche sostanzialmente diversa.
L’approccio qui delineato, raccomandato dalla IAEA, ha basi dottrinali molto consistenti (si veda in particolare Connor et al., 2009, e Simkin and Siebert, 1994). Quello utilizzato dalla GT dell’ISPRA non appare invece chiaramente definito. Si suggerisce quindi che, almeno nella fase di approfondimento, i criteri di verifica siano espressamente indicati.
Connor C.B., Chapman N.A., and Connor L.J (2009). Volcanic and Tectonic Hazard Assessment for Nuclear Facilities. Cambridge University Press.
IAEA (2012) - SSG-21: Volcanic Hazards in Site Evaluation for Nuclear Installations. Specific Safety Guide. Vienna 2012.
Simkin, T. & Siebert, L. (1994). Volcanoes of the World, 2nd ed. Tucson: Geoscience Press for the Smithsonian Institution.

Un discorso più semplice ma sicuramente più importante riguarda il secondo criterio. Il criterio CE2: aree contrassegnate da sismicità elevata che recita:
Sono quelle aree contrassegnate da un valore previsto di picco di accelerazione (PGA) al substrato rigido, per un tempo di ritorno di 2475 anni, pari o superiore a 0,25 g, secondo le vigenti Norme Tecniche per le Costruzioni, in quanto in tali aree le successive analisi sismiche di sito potrebbero evidenziare condizioni in grado di compromettere la sicurezza del deposito nelle fasi di caricamento e, dopo la chiusura, per tutto il periodo di controllo istituzionale.
Questo testo è chiaramente di derivazione del Dipartimento Nazionale della Protezione Civile. Si ritiene però che  per un deposito di scorie nucleari non possa essere fissato tout court  un limite quale quello  indicato dalla Protezione Civile, ma che ci si debba riferire al terremoto massimo potenzialmente possibile in quel sito (in genere, per gli addetti ai lavori esso è quello con periodo di ritorno deci-millenario) nell’attuale regime tettonico calcolato come suggerito nella IAEA SSG-9: Seismic Hazards in Site Evaluation for Nuclear Installations, Vienna, 2010, per tutti gli altri impianti di tipo nucleare).
Il calcolo del terremoto con periodo di ritorno di2475 anni è una estrapolazione statistica di dati per lo più di sismicità storica e strumentale e poco si presta ad essere preso a riferimento per garantire, anche per la percezione del più vasto pubblico, che il sito è sicuro a fronte del terremoto. Fissare inoltre un criterio di esclusione sulla base di una  determinata accelerazione del suolo è ormai quasi del tutto  superato,  sia per la localizzazione degli impianti nucleari,  sia, più in generale, per altre strutture. In tutto il mondo si progettano impianti anche molto più complessi di un deposito per scorie nucleari (ad es. impianti ad alto rischio, grattacieli in zone costiere e quindi con terreni di fondazione del tutto scadenti) con accelerazioni al suolo ben maggiori di 0.25 g. Si tratta infatti solo di una questione di ingegneria, peraltro  non  molto complicata.
Per  chiarire cosa  possa comportare una scelta quale quella  effettuata nella GT ISPRA, si  ricorda che l’aumentato numero di registrazioni accelerometriche disponibili a livello mondiale ha ampiamente dimostrato che i valori di riferimento di accelerazione del suolo alle varie magnitudo del terremoto atteso erano nei tempi passati altamente sottostimate. In particolare, è risultato che accelerazioni quale quella di 0,25 g presa a riferimento nella GT di ISPRA sono possibili nelle aree epicentrali di Magnitudo (Mw) intorno a 5 (vale a dire un’intensità macrosismica MM o MSK o MCS, intorno all’VIII grado). E’ d’altronde noto che non  è possibile escludere che un terremoto di tale magnitudo possa avvenire dappertutto anche in Italia in quanto non si hanno a tutt’oggi elementi scientifici e tecnologici discriminativi come  esistono invece, espletando studi adeguati, per terremoti di Magnitudo maggiore di  5. Quindi cautelativamente si assume che un terremoto di Magnitudo 5 possa accadere ovunque, anche sotto il sito nucleare di nostro interesse. Pertanto, a fronte di un criterio di esclusione di quel tipo  potrà essere sempre possibile dimostrare che il sito scelto non è idoneo, né si ritiene, per quanto sopra detto, che un valore discriminante nella selezione di un sito nucleare possa essere attribuito alla determinazione di periodo di ritorno di 2475 anni. Si suggerisce quindi di togliere questo criterio di esclusione e rimandare il calcolo del terremoto di progetto del deposito a quanto richiesto dalla guida IAEA sopra indicata. Paradossalmente sarebbe il caso di imporre 0.25 g come limite minimo della progettazione del deposito.
Si auspica che quanto sopra risulti utile anche al fine di poter utilizzare il deposito per lo stoccaggio di rifiuti ad alta attività e lunga vita.

Il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi. La procedura e i criteri per l’individuazione delle aree potenzialmente idonee.

Di che deposito nazionale dei rifiuti radioattivi parliamo? Qual è la procedura per l'individuazione delle aree e quali sono i tempi?
Ne parliamo il 3 gennaio 2015 nella sede di ScanZiamo le Scorie a Scanzano J.co (MT).
Siete tutti invitati a partecipare....

“Nucleare, pasticcio che grava sulle imprese. Governo intervenga su Sogin”


“Nucleare, pasticcio che grava sulle imprese. Governo intervenga su Sogin” 
Un balletto di cifre che comporta ritardi e costi per i consumatori. E che potrebbe costare il posto all’amministratore delegato della Sogin, Riccardo Casale. Al termine di un’audizione informale che si è conclusa con un atto formale. Una lettera che tredici senatori della commissione Industria di Palazzo Madama hanno indirizzato ai ministri dell’Economia e dello Sviluppo economico per segnalare «la loro preoccupazione per la situazione» della Società gestione impianti nucleari, interamente controllata dallo Stato, responsabile dello smantellamento delle vecchie centrali dismesse (il cosiddetto decommissioning) e del trattamento e messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi. Ma, soprattutto, per chiedere al governo di prendere «rapide e incisive iniziative» per assicurare «una gestione in grado di recuperare i ritardi, altrimenti onerosi per i consumatori, e di attuare gli obiettivi industriali nei tempi previsti». Una bocciatura, in buona sostanza, dell’operato di Casale sfiduciato di fatto dagli autori della missiva.


Dal Fatto Quotidiano.

I RILIEVI DELLA COMMISSIONE – Nel mirino della commissione Industria sono finiti i «ritardi, inattesi e gravi, nell’attuazione del piano quadriennale di attività 2014-2017» della Sogin, chiarisce la lettera che Ilfattoquotidiano.it pubblica in esclusiva, emersi durante le audizioni «sulle strategie dei nuovi vertici delle principali società direttamente o indirettamente controllate dallo Stato». A non convincere gli autori della missiva trasversale (tra i quali il presidente della commissione Massimo Mucchetti del Pd, primo firmatario, e i due vice presidenti Paola Pelino di FI e Nunziante Consiglio della Lega), il «doppio ridimensionamento del piano quadriennale varato dalla gestione precedente nel giugno 2013» che l’11 novembre Casale ha presentato «come un piano elettorale eccessivamente ambizioso, benché fosse stato a suo tempo approvato dal governo». Così, nel dicembre 2013, arriva la prima rimodulazione firmata Casale che «comporta un taglio di circa 130 milioni di euro alle attività di decommissioning». La seconda, invece, nell’ottobre 2014, quando l’ad di Sogin ha portato in cda un’ulteriore riduzione di altri 120 milioni per il solo triennio 2015-2017. Risultato: «La riduzione di attività di decommissioning sul quadriennio 2014-2017 ammonta a ben 250 milioni di euro».

GLI EFFETTI SUL DECOMMISSIONING – Una situazione che «suscita allarme» tra i componenti della commissione Industria del Senato. Non solo perché le nuove cifre fornite da Casale «contrastano radicalmente con il quadro ottimistico tracciato in precedenza dall’amministratore delegato» che «ancora ai primi di agosto 2014, annunciava l’accelerazione marcata delle attività di decommissioning». Ma anche perché, sottolineano i tredici senatori, «lo stato di avanzamento dei progetti pluriennali come quelli tipici della Sogin va monitorato con tempestività per evitare che le criticità, sempre possibili, si cristallizzino con il duplice effetto negativo di generare oneri ulteriori e imprevisti e di rallentare l’esecuzione delle opere». Proprio quello che si starebbe verificando in casa Sogin. Mucchetti e gli altri senatori lo denunciano: il piano revisionato comporterà «un potenziale ritardo di 14 mesi nel completamento del decommissioning» con un costo aggiuntivo «di circa 150 milioni che viene automaticamente scaricato sulla bolletta elettrica delle piccole e medie imprese che il governo ha promosso con il decreto competitività».
TENSIONI NUCLEARI – Insomma, un disastro. Che, nella cronaca delle recenti vicende sul nucleare non è isolato. Solo qualche settimana fa, infatti, un’altra polemica era scoppiata a causa della nomina di Antonio Agostini a presidente dell’Isin, l’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione, sul cui nome, proposto dal ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti, erano stati sollevati non pochi dubbi da diversi componenti delle commissioni competenti di Camera e Senato che ne avevano messo in discussione i requisiti professionali richiesti dall’incarico. Gli echi della querelle non si erano ancora spenti che il caso del piano della Sogin accende una nuova polemica sul delicato tema del nucleare. E ancora una volta il Parlamento arriva prima del governo.
Twitter: @Antonio Pitoni

Svezia: raddoppia la tassa sui rifiuti per gli operatori del nucleare

Pubblicato da www.rinnovabili.it
 
L’industria nucleare svedese dovrà pagare 0,04 corone per chilowattora negli anni 2015-2017, rispetto alle 0,022 corone di oggi.
 
Svezia: raddoppia la tassa sui rifiuti per gli operatori del nucleareLa storia del nucleare svedese ha affrontato alti e bassi. Nonostante il paese si sia impegnato formalmente a incrementare la quota rinnovabile nel suo mix energetico al 50% entro la fine di questo decennio, l’energia dell’atomo non sembra un‘opzione a cui Stoccolma intenda rinunciare facilmente Secondo il risultato del referendum del lontano 1980, tutte le centrali nucleari svedesi avrebbero dovuto essere chiuse entro il 2010, ma ad oggi la situazione è pressoché rimasta inalterata e solo due impianti sono stati dismessi. In questo contesto di quasi assoluto immobilismo le scorie radioattive costituiscono un problema non da poco, soprattutto visto i lati deboli mostrati dal nuovo piano rifiuti della Nazione. Ecco perché il governo svedese ha deciso di raddoppiare le tasse a carico degli operatori delle centrali e canalizzare i proventi nel fondo scorie nucleari, al fine di supportare l’aumento dei costi di smantellamento.

Avevamo riportato la notizia, quando era ancora un’ipotesi, all’inizio di ottobre, data in cui il partito ambientalista aveva avanzato la proposta. Forti del nuovo consenso ottenuti i Verdi svedesi sono infatti pronti – nuove elezioni permettendo – a rilanciare un forte programma di decommissionig, fatto norme di sicurezza più stringenti e fiscalità più incisiva. Cosa significherebbe tutto ciò nella pratica? Che l’industria “atomica” svedese dovrà pagare 0,04 corone (0,42 euro) per chilowattora negli anni 2015-2017, rispetto alle 0,022 corone di oggi. “L’energia nucleare deve poter sostenere le proprie spese e la decisione del governo di aumentare la quota sui rifiuti nucleari lo renderà possibile”, ha spiegato il ministro svedese dell’ambiente e dei cambiamenti climatici, Asa Romson. Ricordiamo che ad oggi sul territorio l’energia nucleare è tassata, sulla base della capacità di produzione del reattore, con circa 1200 euro per MW della potenza autorizzata mensilmente. L’industria ha prontamente fatto sapere che una combinazione di aumento delle tasse e dei costi aggiuntivi per le nuove misure di sicurezza potrebbe portare alla precoce chiusura di vecchi impianti, e quindi a prezzi energetici potenzialmente più elevati.

CHE FINE HANNO FATTO I POZZI DI SALGEMMA A TERZO CAVONE?

 

Articolo di FIlippo Mele dalla Gazzetta del Mezzogiorno

SCANZANO J. ACCORDO TRA SORIM E PRIVATO RIACCENDE I RIFLETTORI SU UNA QUESTIONE APERTA

LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO 22.12.14

SCANZANO JONICO – Un accordo tra la Sorim spa, titolare della concessione per l'estrazione del salgemma dai depositi ad 800 metri di profondità di Terzo Cavone, ed un agricoltore ha fatto tornare d'attualità il “destino” del sito, già scelto nel 2003 dal Governo Berlusconi come deposito delle scorie nucleari d'Italia. Uno spettro che qui spesso ritorna. Ma andiamo con ordine. Davanti al tribunale di Matera, giudice Raffaele Viglione, è stata raggiunta un'intesa tra gli avvocati Francesco Luigi De Luca, difensore della Sorim, ed Antonello Bonfantino, difensore degli eredi di Luigi Di Santo. Di Santo aveva intimato 10 anni fa lo sfratto alla Sorim per un terreno dato in fitto alla spa, nel 1999, perchè vi realizzasse uno dei 5 pozzi da cui estrarre la salamoia. Pozzo realizzato, come gli altri, ma mai entrato in funzione. La storia è lunga. Fu nel 1999 che, sindaco Mario Altieri, sembrava vicina l'estrazione del salgemma. Che saltò per l'opposizione di un parlamentare lucano dell'epoca, Domenico Izzo (Ppi – Ulivo), che fece lo sciopero della fame davanti a Montecitorio: “Lo scopo del progetto non è imbustare il sale ma creare caverne per immagazzinarvi rifiuti, anche nucleari”. Il 9 settembre del '99 l’allora presidente della Regione, Angelo Raffaele Dinardo, sospese i lavori di Terzo Cavone: “Manca la valutazione di impatto ambientale”. Seguirono corsi e controricorsi sino al 13 novembre 2003 quando sembrò che le accuse di Izzo erano pronte a divenire realtà. Nelle caverne ricavate dopo aver estratto il salgemma il Governo voleva immagazzinare le scorie radioattive del Belpaese. Come finì è noto. La rivolta di Scanzano costrinse Silvio Berlusconi a fare dietrofront. Qui, però, ancora rabbrividiscono quando sentono parlare di deposito geologico. Ed a Milano, il 12 dicembre scorso, Fabio Chiaravalli, della Sogin, la spa deputata ad individuare i siti idonei ad ospitare il cimitero atomico, ha detto che “i 15mila mc di scorie ad alta attività d'Italia dopo essere stati immagazzinati nel deposito di superficie saranno poi conferiti in uno geologico che verrà individuato in un Paese europeo”. Nel centro jonico nessuno ha mai abbassato la guardia. “La mia ipotesi - ha concluso Bonfantino, anche nella sua qualità di vicepresidente dell'associazione ScanZiamo le scorie – è che Sorim, quanto meno, abbia abbandonato le sue mire sul salgemma di Terzo Cavone”. 

 

LO RICORDA IL SINDACO

ORA E' UN'AREA AGRICOLA E NON PIU' ESTRATTIVA

SCANZANO JONICO - “Mai abbassare la guardia dal pericolo di “ritorni” di ipotesi di deposito geologico per le scorie radioattive d'Italia a Terzo Cavone”. Lo ha detto il sindaco Salvatore Iacobellis (Pd) quando gli abbiamo chiesto delle misure adottate dal suo comune contro il “fantasma” cimitero atomico. “L'area – ha spiegato il primo cittadino – non è più da un punto di vista urbanistico estrattiva ma agricola. Ed in parte, proprio dove Sorim voleva realizzare la “fabbrica del sale”, è stata dichiarata alluvionabile. E nei pressi è in fase di costruzione l'intervento della Città dei bambini come deciso con la Regione e con il premio Nobel Betty Williams”. Basterà per scacciare lo spettro

Sicurezza nucleare: interrogazione M5S, Ministeri vigilino su operato Sogin!

COMUNICATO STAMPA - Gianni Girotto, Capogruppo M5S - X Commissione Industria Senato

Roma, 19 dicembre 2015 - «Sulla delicata gestione del decommissioning nucleare - già oggetto di interesse da parte della magistratura – è necessario prestare la massima allerta. Ecco perché abbiamo presentato l’ennesima interrogazione ai ministri delle Finanze e dello Sviluppo economico, chiedendo di non abbassare la guardia e di vigilare attentamente sull’operato della Sogin, che nelle prossime settimane presenterà la mappa delle aree idonee ad ospitare il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi. Non possiamo permetterci il ripetersi di gravi episodi come quello dell’appalto per la costruzione del Cemex per la centrale atomica Eurex di Saluggia, su cui l’autorità nazionale anticorruzione ha chiesto il commissariamento», dichiara il senatore a 5 Stelle Gianni Girotto.

«Su quella vicenda – definita dagli organi di stampa la “Tangentopoli radioattiva” - attendiamo da sette mesi una risposta da parte del ministro Galletti», ricorda l’esponente grillino. «Ma il silenzio di chi deve controllare che tutto si svolga al meglio ci preoccupa».

Sulla sicurezza nucleare ci sono state finora troppe leggerezze, insiste Girotto. «È indispensabile un cambio di passo e accelerare anche su una nomina credibile al vertice dell’Isin, la nuova autorità di controllo».
La vecchia proposta del Governo – ancora ferma al Cdm dopo le osservazioni del M5S – si è rivelata sbagliata: Antonio Agostini, infatti, è una figura senza adeguate competenze in materia e sotto inchiesta da parte della magistratura romana per la gestione dei fondi europei quando era direttore del Miur.

«Pertanto – conclude Girotto – è necessario avere delle risposte immediate. Si è già perso troppo tempo, che ha un costo alto per i cittadini anche in termini di tutela della salute pubblica».

IL DEPOSITO UNICO DELLE SCORIE CREA CURIOSITA' ED ALLARME

Articolo di FIlippo Mele dalla Gazzetta del Mezzogiorno

SCANZANO JONICO. PER IL PRESIDENTE DELLA SOCIETA' GIUSEPPE ZOLLINO LE AREE INDIVIDUATE SARANNO IN MOLTE REGIONI MA NON SI SA QUALE DI ESSA SARA' PRESCELTA

LA SOGIN DOVRà INDICARE DOVE SORGERA' IL SITO ENTRO IL 3 GENNAIO

 LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO 15.12.14
 





SCANZANO JONICO - Sprint finale della Sogin, la spa interamente pubblica incaricata dal Governo per l'individuazione delle aree potenzialmente idonee ad ospitare il deposito unico delle scorie d'italia. Entro il 3 gennaio prossimo la lista dovrà essere pronta. Così, ogni giorno che passa, la “curiosità” in merito si fa facendo sempre più spasmodica. Tanto che il presidente di Sogin, Giuseppe Zollino, parlando nel corso di un seminario inetrnazionale sulle attività di dismissione di siti e centrali nucaleri disattivate una spa pubblica deputata alla dismissione delle vecchie centrali e dei vecchi siti atomici, tra cui l’Itrec di Rotondella, svoltosi a Milano ha dichiarato: “Le aree individuate saranno molte in molte regioni. Ma non sappiamo ancora dove il deposito si farà”. Ci saranno anche aree della Basilicata tra quelle “segrete” di Zollino? Probabilmente, si. Anzi. Fu proprio la Gazzetta a pubblicare il 24 settembre del 2010 (citando una autorevolissima fonte istituzionale che volle mantenere l'anonimato) i sei comuni lucani, Matera, Montescaglioso, e Montalbano Jonico, in provincia di Matera, più Banzi, Palazzo San Gervasio, e Genzano di Lucania, in provincia di Potenza, in cui una parte del loro territorio era ritenuta idonea per la realizzazione del deposito unico delle scorie nucleari d’Italia. Il nostro giornale riportò la notizia con il beneficio di inventario stante il segreto che anche allora circondava la mappa con 52 località del Belpaese che la Sogin, deputata alla dismissione delle vecchie centrali e dei vecchi siti atomici, tra cui l’Itrec di Rotondella, aveva disegnato. Mappa di cui avevano parlato il giorno precedente due quotidiani nazionali scatenando il toto - deposito. E la Sogin, allora, né confermò nè smentì. Né per i siti di Basilicata né per i restanti d’Italia. Ma la mappa esisteva come “certificò” l'allora sottosegretario allo Sviluppo economico, Stefano Saglia: “La lista stilata dalla Sogin rappresenta un ottimo lavoro che farà da base di partenza per la decisione del Governo che però non arriverà nei prossimi giorni”. Decisione che non è arrivata nenache dopo più di quattro anni da quella data. Sarà cambianto qualcosa nella “mappa segerta” di Sogin? Chissà. Non resta cheattendere anche se, nels ettore nucelare, l'esperienza insegna che i “cronoprogrammi” sono fatti per essere ampiamente disattesi.


DA SMALTIRE 90 MILA MC

NOI SPERIAMO ARRIVINO LE AUTOCANDIDATURE”

ROTONDELLA - “Speriamo in 5 - 6 autocandidature per il Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi da parte delle aree che verranno inserite nella Carta delle idoneità”. Lo ha detto il presidente della Sogin spa, Giuseppe Zollino, elencando le tappe del cronoprogramma: entro il 3 gennaio 2015, Sogin consegnerà la Carta all'Istituto di protezione e ricerca ambientale che darà un parere tecnico e la trasmetterà al Ministero per lo sviluppo economico per l'approvazione. La lista verrà, quindi, resa pubblica. Da smaltire 90.000 mc di scorie nei prossimi 40 anni, di cui 75.000 a bassa e media radioattività, e 15.000 ad alta attività. Rifiuti sparsi sul territorio nazionale che l'Europa chiede di custodire in modo centralizzato. Il Deposito dovrebbe entrare in esercizio nel 2024. Previsto un investimento di 1,5 miliardi di euro e la creazione di 1500 posti di lavoro, che diventeranno 700 per la gestione

Deposito nazionale scorie, evitare un'altra Scanzano

http://basilicata24.it/sites/basilicata24.it/files/imagecache/main_image_epress_article_full/node_images/6d76435298fd1404-1416221278.jpg




Pubblicato da Basilicata24.it


Scarica l'interrogazione.

E’ necessario chiarire la procedura per la realizzazione del deposito nazionale dei rifiuti nucleari se vogliamo evitare un’altra Scanzano. L’allarme viene lanciato dal senatore Gianni Girotto, capogruppo M5S in X commissione Industria, primo firmatario (insieme ad altri 19 senatori grillini) di un’interrogazione rivolta al Governo sulla gestione e la messa in sicurezza delle scorie radioattive per chiarire alcuni aspetti sull’individuazione del deposito nazionale di rifiuti nucleari in seguito alla pubblicazione dei criteri per l’individuazione delle aree idonee. «Attorno al Deposito nazionale per lo smaltimento delle scorie nucleari si sta costruendo una narrazione tossica, fatta di confusione e non detti. Invitiamo il ministro dell’Ambiente e quello dello Sviluppo economico a fare chiarezza sui veri obiettivi del Governo sul Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi. Il piatto è ricco e può fare gola a molti; solo con la chiarezza e la trasparenza potremo evitare che dietro la partita si nascondano interessi torbidi». Il decreto n. 31 del febbraio 2010 parla di un Deposito nazionale destinato allo smaltimento definitivo dei rifiuti radioattivi a bassa e media intensità, derivanti da attività industriali e di ricerca medico-sanitarie, oltre che “dalla pregressa gestione di impianti nucleari, e all’immagazzinamento, a titolo provvisorio di lunga durata, dei rifiuti ad alta intensità e del combustibile irraggiato”. Ma su quest’ultimo punto la Guida tecnica 29 dell’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) sembra imboccare una strada diversa, aprendo a dubbi ed equivoci su quello che si voglia realmente fare. L’Ispra, infatti, ipotizza la localizzazione di un impianto in superfice solo per lo stoccaggio dei rifiuti a bassa e media attività radioattiva, mettendo da parte quelli ad alta intensità. «È proprio questa indeterminatezza che ci preoccupa. Sarà un unico deposito o ne sorgeranno altri per le scorie più insidiose? E soprattutto, perché l’Ispra ignora queste ultime nella Guida? Che altri obiettivi hanno in mente Renzi e i suoi uomini?», chiede il senatore grillino. «Se manca la dovuta chiarezza e trasparenza, il processo per l’individuazione del deposito nazionale rischia di trasformarsi in una Scanzano bis, come accadde durante il Governo Berlusconi nel 2003. Enti locali e cittadini devono essere informati per tempo e non a cose fatte. Decisioni di questo tipo non si possono prendere solo nell’isolamento dei Palazzi». Infine il M5S chiede al Governo di ritirare la nomina di Antonio Agostini da direttore dell’Isin, il nuovo Istituto per la sicurezza nucleare e la radioprotezione. «Ci eravamo opposti perché non ha le competenze necessarie a gestire un simile processo. Ma adesso è anche indagato dalla magistratura per “turbativa d’asta pubblica” i dubbi si sono trasformati in certezze: Agostini va sostituito immediatamente». Speriamo che questo grave errore di valutazione del Governo non pregiudichi la funzionalità dell’attività dell’Isin affidando la sua gestione ad un commissariamento ma spinga il Governo ad individuare le competenze e le professionalità indicate dalle norme per garantire la corretta gestione dei rifiuti nucleari, la sicurezza e la salute dei cittadini. Gianni Girotto, Capogruppo M5S - X Commissione Industria Senato

Agostini alla direzione dell'ISIN? Una proposta inaccettabile!



Pubblicato da www.parlamento5stelle.it

Puoi guardare anche il video!

Nominare Direttore dell'Isin Antonio Agostini? Una proposta, quella del Consiglio dei ministri assolutamente inopportuna!
Crediamo, infatti, che l'Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e radioprotezione debba essere guidato da una figura di comprovata e documentata esperienza e professionalità ed elevata qualificazione e competenza nei settori della sicurezza nucleare, della radioprotezione, nonché di indiscussa indipendenza, così come richiesto dal D.lgs n. 45/2014 di attuazione della direttiva 2011/70/EURATOM, che istituisce un quadro comunitario per la gestione responsabile e sicura del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi.
Crediamo che il rapporto di fiducia e trasparenza tra cittadini e istituzioni sia un valore non negoziabile ed essenziale per proseguire in sicurezza il processo di decommissioning nucleare.
L'Isin svolgerà le funzioni e i compiti di autorità nazionale per la regolamentazione tecnica, si occuperà di espletare i processi autorizzativi, le valutazioni tecniche, il controllo e la vigilanza delle procedure connesse allo smantellamento delle installazioni nucleari non più in esercizio e in disattivazione, dei reattori di ricerca, degli impianti e delle attività connesse alla gestione dei rifiuti radioattivi e del combustibile nucleare esaurito, delle materie nucleari, della protezione fisica passiva delle materie radioattive, emanando altresì le certificazioni previste dalla normativa vigente in tema di trasporto di materie radioattive stesse.
Ecco perché solleviamo dubbi sull'incompatibilità dell'attuale proposta di nomina a Direttore dell'Isin. Questa modalità ci rende perplessi su come si voglia continuare ad affrontare il problema della sicurezza nucleare.
Infine stigmatizziamo fortemente come l'audizione del candidato, richiesta dalla X Commissione, si svolga a porte chiuse e senza pubblicità; ci si nasconde dietro la foglia di fico della tutela della privacy, "dimenticandosi" che in tale audizione non si parleranno degli affari privati del candidato, ma di ciò che è necessario valutare per la sua nomina come funzionario PUBBLICO, e pertanto tutto il procedimento relativo dovrebbe essere aperto e trasparente.

Nucleare, pressing sul ministro Galletti. Pd: “Sospendere nomina di Agostini”

 Dal Fatto Quotidiano.it
La nomina di Antonio Agostini a capo dell’Ispettorato per la sicurezza nucleare è in bilico. Poche ore dopo la diffusione della notizia delle indagini della Procura di Roma sull’attuale segretario generale del ministero dell’ambiente, il ministro Gianluca Galletti valuta diverse ipotesi – secondo quanto riferito alle agenzie – e non esclude il ritiro della nomina. Agostini è indagato per turbativa d’asta e abuso d’ufficio in un’inchiesta – arrivata a conclusione oggi – del pm Felici sulla gestione dei fondi per la ricerca all’interno del Miur. Sulla stessa vicenda stanno lavorando gli investigatori dell’ufficio antifrode di Bruxelles e la procura della Corte dei conti, che, nei mesi scorsi, ha già ascoltato alcuni funzionari del Miur.
Al centro dell’inchiesta sono finiti due bandi finanziati dai fondi comunitari: quello per la ricerca industriale e quello per il potenziamento della ricerca. Secondo l’accusa della procura, Agostini – che all’epoca dei fatti occupava il posto di direttore generale – avrebbe fatto erogare fondi ad enti nominando una commissione di esperti che facevano parte del suo entourage. Il valore delle erogazioni contestate, al momento, supera i 320 milioni di euro. Tra i promotori di progetti finiti sotto la lente della Procura vi sarebbero anche soggetti vicini all’ex ministro Maria Stella Gelmini. I fatti contestati si riferiscono al 2011, quando i valutatori del ministero dell’istruzione della ricerca avviarono la selezione dei progetti. Per la procura Agostini avrebbe esercitato pressioni al fine di soprassedere su alcuni requisiti previsti dalla legge, come, ad esempio, la solidità economica delle aziende beneficiarie. L’inchiesta romana prosegue, puntando a chiarire come siano stati utilizzati i soldi erogati nell’ambito dei due bandi gestiti da Antonio Agostini. Oltre ad Agostini l’inchiesta ha coinvolto l’autorità di gestione dei progetti in mano a Fabrizio Cobis, dirigente dell’ufficio settimo, che è accusato del suolo abuso di ufficio per i bandi del secondo avviso.
Intanto l’ufficializzazione dell’indagine a carico sta avendo effetti sulla nomina di Agostini all’Isin, l’agenzia che dovrà occuparsi del post-nucleare italiano. Se il ministro Galletti che l’ha avanzata ne sta valutando il ritiro, dallo stesso Pd che l’ha votata in Parlamento arrivano chiari segnali di ripensamento. “A seguito della notizia dell’avviso di chiusura indagini che potrebbe preludere a una richiesta di rinvio a giudizio, invitiamo i ministri competenti dell’Ambiente, Gian Luca Galletti, e dello Sviluppo Economico, Federica Guidi, a sospendere la nomina di Agostini alla direzione dell’Isin ai fini di valutarne l’opportunità alla luce dei necessari chiarimenti”, questo quanto dichiarano congiuntamente Ermete Realacci e Guglielmo Epifani, presidenti della VIII Commissione Ambiente e della X Commissione Attività Produttive della Camera.
Più duri gli oppositori della prima ora alla nomina che ora vanno all’attacco frontale di chi la proposta chiedendo le dimissioni del ministro.  “In Commissione Ambiente abbiamo in tutti i modi cercato di far capire che era la persona meno adatta – sottolinea Mirko Busto, deputato del M5S in Commissione Ambiente – Nel suo curriculum non c’è traccia di competenza in campo nucleare e già durante la discussione era emerso che c’era un fascicolo aperto su di lui e l’amministrazione dello Stato ne era a conoscenza. Adesso il ministro dell’Ambiente, che ha insistito nel volerlo, sta valutando la revoca della nomina? Per noi l’unica cosa che dovrebbe valutare sono le proprie dimissioni per manifesta inadeguatezza nelle valutazioni”. Un segnale del governo in questo senso dovrà arrivare a breve, visto che il decreto di nomina dovrà essere convalidato in Cdm dopo il parere favorevole delle commissioni parlamentari e poi trasmesso al Quirinale per la controfirma.

XI anniversario della protesta di Scanzano


COMUNICATO STAMPA

13/27 novembre - XI anniversario della protesta di Scanzano: l'agguato e dietro l’angolo ed è bene parlarne
Scanzano J.co (MT), 12 novembre 2014 - Sono passati 11 anni dalla protesta contro il decreto che designava Terzo Cavone in Scanzano come sito unico per il deposito dei rifiuti nucleari ma l’attenzione e la voglia di ricordare non si sono affievoliti, anzi.
In questi anni non è cambiato nulla: nessun progresso, nessuna ricerca fondata e soprattutto nessuna informazione. Per l'individuazione del futuro deposito di scorie nucleari siamo indietro rispetto alla tabella di marcia; solo pochi mesi fa abbiamo avuto l’onore di poter vedere la fantomatica guida tecnica 29 ( un nome che ricorda film sugli alieni) che dovrebbe dare il la all’individuazione del sito idoneo a diventare deposito; solo un mese fa abbiamo conosciuto il nome (ma sarebbe stato meglio non conoscerlo) del futuro direttore dell’ISIN che non conosce nulla di radioprotezione, nucleare ecc. ma secondo voci (da verificare) conoscerebbe bene la materia dell’occultamento dei fondi pubblici.
Ecco perché ScanZiamo le scorie non abbassa la guardia e continua a celebrare questo anniversario. Tra le iniziative segnaliamo l'evento del 20 novembre - ore 18:00 sul'"La messa in sicurezza dei centri nucleari. A distanza di 11 anni dalla protesta di Scanzano cosa è stato fatto e cosa serve ancora?" che si terrà nella sala consiliare del Comune di Scanzano J.co. L'incontro, alla quale parteciperà anche il Professor Massimo Scalia, vuole essere un confronto aperto tra le Istituzioni del territorio, le Associazioni e i cittadini per fare un punto sulla messa in sicurezza dei lasciti nucleari e l'individuazione del deposito di scorie.
Il 21 novembre, presso il Liceo scientifico E. Fermi di Policoro, si svolgerà un secondo appuntamento dell'anniversario con gli studenti per parlare di "Energia e Cambiamento climatico". L’agguato e dietro l’angolo ed è bene parlarne.