NUCLEARE: ASS. SCANZIAMO SCORIE, PAGATO IN BOLLETTA DISMISSIONE CENTRALI

Roma, 20 mag. - (AdnKronos)
"Lo smantellamento dei centri nucleari ha un costo di circa 300 milioni di euro all'anno pagato dai cittadini nella bolletta ogni 2 mesi, altro che opportunità. Diversamente dai tanti, compresi i rappresentanti del nostro governo non condividiamoassolutamente l'ipotesi che le operazioni di messa in sicurezza delle centrali nucleari vengano classificate come un'opportunità".
Lo afferma Donato Nardiello, presidente dell'associazione 'ScanZiamo le Scorie'.

La stima dei costi per il mantenimento in sicurezza dei rifiuti nucleari ad oggi, sottolinea Nardiello, "è di circa 11 miliardi di euro. Attualmente il problema è irrisolto, in particolare per i rifiuti di alta attività, che manteniamo sotto controllo grazie ai soldi raccolti dalla bolletta elettrica che paghiamo. Ricordiamo che il completamento delle soluzioni di messa in sicurezza e smantellamento hanno subito una forte dilatazione dei tempi e conseguentemente un incremento dei costi".

 Secondo il presidente dell'associazione 'ScanZiamo le Scorie', "fino a quando l'intero processo non sarà reso realmente trasparente e non si offrirà un cambiamento oggettivo degli attori che continuano a gestire le operazioni sarà difficile aprire un dialogo con il territorio e la popolazione, pertanto il decommissioning nucleare continuerà a rimanere un affare di pochi pagato dai cittadini che non troverà altro coinvolgimento".

      (Ler/AdnKronos)
20-MAG-15 13:54

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Il governo prende tempo e rimanda la Carta delle aree al mittente



di Beniamino Bonardi 

Il 16 aprile, i Ministeri dello sviluppo economico e dell’ambiente hanno chiesto degli approfondimenti tecnici alla Sogin e all’Istituto superiore per la protezione ambientale (Ispra) a proposito della Carta delle aree potenzialmente idonee a ospitare il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi (Cnapi). Sogin e Ispra dovranno fornire gli elementi richiesti dai Ministeri entro 60 giorni.
Una richiesta di approfondimento a cui, il 9 aprile, rispondendo alla Camera a un’interrogazione a risposta immediata di Michele Piras (Sel), il Ministro dello sviluppo economico, Federica Guidi, non aveva fatto alcun cenno.
La carta delle aree potenzialmente idonee a ospitare il deposito nazionale per i rifiuti radioattivi è stata consegnata dalla Sogin all’Ispra il 2 gennaio scorso. L’Ispra, che aveva sessanta giorni di tempo per verificare e validare i dati, ha inviato il 13 marzo la propria relazione ai due Ministeri, i quali avevano trenta giorni per comunicare alla Sogin il proprio nulla osta ai fini della pubblicazione della proposta di carta nazionale.
L’Ispra specifica che la richiesta di approfondimenti tecnici dei Ministeri riguarda le “modalità con le quali la Sogin procederà al recepimento dei rilievi formulati dall’Ispra stesso con la suddetta relazione del 13 marzo. Ciò al fine di permettere ai Ministeri l’emanazione del nulla osta alla pubblicazione della Cnapi, aggiornata sulla base di detti rilievi”.
È certo comprensibile che, in una materia complessa e delicata quale è la localizzazione del deposito nazionale dei rifiuti radioattivi, i Ministeri competenti necessitino di chiarimenti e di approfondimenti e abbiano quindi inteso essere cauti. Tuttavia, non pochi avevano ipotizzato che, per il forte coinvolgimento che la Carta suscita per numerose comunità locali interessate dalle elezioni regionali del 31 maggio, difficilmente la Carta avrebbe visto la luce prima di quella data.
Dopo la pubblicazione della Carta delle aree potenzialmente idonee a ospitare il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi ci sarà un processo di consultazione pubblica, nell’ambito del quale i soggetti coinvolti potranno formulare osservazioni o proposte. Alla fine di questa consultazione, 120 giorni dopo la pubblicazione della Carta, ci sarà un seminario nazionale organizzato dalla Sogin. Successivamente, è prevista l’istruttoria finale di approvazione della Carta, sulla cui base potranno essere formulate le dichiarazioni d’interesse da parte delle amministrazioni locali, propedeutiche agli approfondimenti di dettaglio e all’individuazione del sito definitivo.

Chernobyl, la catastrofe nucleare è ancora in agguato




Il 26 aprile 1986 un’esplosione sventrava il reattore numero 4 della centrale nucleare sovietica di Chernobyl, in Ucraina, considerata allora uno degli impianti più sicuri del mondo. A 29 anni di distanza il cadavere radioattivo del più grande disastro del nucleare civile rappresenta ancora  una minaccia per tutta l’area di confine tra Ucraina, Russia e Bielorussia e un monito per chi continua a parlare di nucleare sicuro.  
Il sarcofago di cemento che centinaia di migliaia di “liquidatori”, mandati a morire ed ammalarsi, riuscirono a costruire sulle macerie radioattive ancora fumenti di Chernobyl verrà sostituito con una gigantesca cupola metallica  alta 92 metri  e lunga 245, ma mentre la comunità internazionale sta cercando i soldi per portare a termina un’opera faraonica e costosissima (2 miliardi di euro) quello che non si dice è che si tratta di un’altra soluzione provvisorie e che sotto quelle macerie radioattive c’è ancora una massa di combustibile nucleare che nessuno sa come togliere e neutralizzare.
Nel suolo e nella vegetazione sono ancora presenti il cesio 137 e lo stronzio 90 ed ogni incendio boschivo – come quelli che hanno colpito l’area nelle ultime estati – rischia di rimettere in circlazione particelle radioattive letali. Sempre più studi evidenziano che, contrariamente all’idea fatta abbondantemente circolare di una natura fiorente, di una fauna e di una flora che si sono adattate al disastro ed hanno prosperato in mancanza di esseri umani, animali e piante stanno subendo le conseguenze dell’esposizione alla radioattività.
Nel 2010 il reportage “Chernobyl: A Natural History” ha contribuito a diffondere la favola di una natura intatta che riprendeva possesso del territorio contaminato, ma questa teoria consolatoria è stata duramente sconfessata da ricerche scientifiche realizzate nell’area e che, dopo aver rilevato malformazioni sempre più evidenti  nelle rondini, hanno scoperto che anche la crescita degli alberi viene danneggiata dalle radiazioni e che il suolo è sempre più povero di microrganismi, impedendo la decomposizione della vegetazione.
Un accumulo di biomassa secca che aumenta il rischio incendi nelle estati che il global warming sta rendendo sempre più calde in quella che una vota era la parte europea dell’Unione Sovietica. A febbraio uno studio del Norvegian Institute for Air Research ha confermato che gli incendi boschivi contribuiscono a diffondere nuovamente la radioattività depositatasi nei dintorni di Chernobyl.
Senza contare che la “zona rossa” non è mai stata davvero fatta rispettare e che più di 8 milioni di persone vivono ancora nella zxona contaminata, mentre il conflitto e la povertà in Ucraina spingono altri disperati ad andare ad occupare case e terre nella zona proibita. Un popolo post-disastro nucleare che quotidianamente assume radioelementi da quel che mangia. Cancri, malattie cardiovascolari malformazioni congenite, aumento della mortalità in Russia, Bielorussia ed Ucraina sono molto più diffuse di e quello che dicono le statistiche nazionali ed internazionali.
Intanto la guerra civile ucraina tra nazionalisti e filo-russi e il confronto tra Mosca e Kiev si sta pericolosamente avvicinando alla centrale nucleare di Zaporija, sollevando nuove paure e rischi concreti, mentre nell’Ucraina in guerra la crisi sanitaria e diventata devastante e  i Bielorussia c’è solo l’Institut Belrad di Minsk – non governativo – a curare i bambini dalla radioattività, Ma le sue attività sono sempre più a rischio di chiusura.
Di fronte all’aumento dei tassi di malformazioni congenite (passate tra il 2000 eil 2009 dal 3,5  al 5,5 per 1.000), il ministero della sanità della Bielorussia ha chiuso l’istituto di ricerca sulle malattie ereditarie e congenite e l’istituto di radio-patologia di Gomel. Nel 2005, il Forum Chernobyl, riunito a Vienna sotto l’egida dell’International atomic energy agency (Iaea) ha concluso che solo 4.000 decessi potevano essere attribuiti al disastro nucleare.  Ma studi indipendenti fanno notare che tra gli effetti sulla salute della catastrife nucleare vanno  messi anche lo stress, l’alcoolismo sempre più diffuso, la radiofobia ed il deterioramento delle condizioni economiche e sociali in una vasta regione. Comunque le cifre indipendenti sui malati “diretti” sono molto più alte: secondo lo studio “Chernobyl. Consequences of the catastrophe for people and the environnement” del team di Yuri Bandajevski pubblicato nel 2011, la catastrofe e le sue ricadute avrebbero casato 985.000 vittime.
In occasione di questo triste anniversario diverse associazioni ambientaliste ed umanitarie hanno fatto notare che anche nell’Europa occidentale sono decine di migliaia le persone che si sono ammalate di tiroide dopo il passaggio ed il fall-out della nube radioattiva che svuotò i negozi di frutta e verdura. Dopo quelle giornate di terrore nucleare, spesso c’è stata, in Unione Sovietica e poi nelle Repubbliche indipendenti, anche in quelle entrate nell’Ue,  ma anche in Europa una disinformazione/minimizzazione voluta e generalizzata sul nucleare, rotta solo dai due referendum italiani che hanno detto no al modo più costoso e rischioso di produrre energia, e dalla nuova tragedia – ancora in corso – di Fukushima Daiichi che ha costretto diversi paesi europei a prendere atto che il nucleare appartiene al passato.

Qualcuno ancora vuole il deposito di scorie in una miniera di sale


Un deposito geologico per i rifiuti radioattivi 'a vita lunga': sarebbe questa la soluzione in grado di garantire l'isolamento dalla biosfera delle scorie radioattive, finché la loro radioattività non sia scesa a livelli non pericolosi per l'uomo e per l'ambiente (ma perché questo accada ci possono volere migliaia e decine di migliaia di anni). Le formazioni geologiche profonde, in grado di restare stabili e inalterate per periodi che si misurano nell'ordine di tempi geologici, sarebbero dunque perfette, in particolare le miniere di sale, ma anche i bacini argillosi o i bacini di granito non fratturato.
"Soluzioni che in Italia non mancano", sottolinea Piero Risoluti, uno dei maggiori esperti di materiali radioattivi, che all'ipotesi dedica un capitolo del suo libro "Il deposito italiano delle scorie radioattive. 18 anni di tentativi" (Armando Editore), presentato oggi. Risoluti, che ha svolto la sua attività presso l'Eni, l'Enea, l'Agenzia internazionale per l'Energia Atomica delle nazioni Unite (Iaea), difende con forza l'ipotesi che in Paesi con importanti produzioni di rifiuti a vita lunga, soprattutto ad alta attività, come Svezia e Francia, può già contare su importanti programmi ad hoc.
Ipotesi che, con il progetto Pangea, era alla base della proposta di un deposito geologico internazionale, poi abbandonata, che aveva individuato già le possibili aree in Australia, Patagonia, Gobi, Africa.
Proposta condivisibile o meno, di fatto "l'Italia deve fare i conti con l'eredità del nucleare - commenta Ermete Realacci, presidente della Commissione Ambiente della Camera che firma anche la prefazione al testo - lo smantellamento delle centrali è una partita che si giocherà presto non solo in Italia e che dovrà testimoniare la capacità del nostro Paese di affrontare la questione sia dal punto di vista tecnico che scientifico".
E visto che "per costruire un deposito geologico ci vogliono almeno 30 anni, e non i 5 indicati dal decreto legge con cui il Governo nel 2003 decise di localizzare il deposito nazionale a Scanzano - precisa Risoluti - varrebbe quindi la pena di iniziare a fare gli studi a tavolino, che non costano molto, invece di perseguire il grande progetto di mandare i rifiuti all'estero". Ma quella del deposito, ricorda Risoluti, è una questione che muove grandi interessi.
"Lo Stato ha pagato fino ad oggi 150 milioni di euro a Comuni e Province che detengono, sul proprio territorio, rifiuti radioattivi", denuncia. Qualche esempio? "Tra i 5 e i 6 milioni l'anno ai Comuni di Ispra e Varese, e 6 milioni a Osteria Nuova per i rifiuti di Casaccia che vanno per metà al Comune di Roma e l'altra metà alla provincia. Una pioggia di soldi", commenta Risoluti. Altro tema affrontato nel suo libro che, a più di un quarto di secolo dalla chiusura delle attività nucleari in Italia e con le scorie ancora da sistemare, entra nel dibattito sull'individuazione del sito idoneo in cui smaltire e depositare i rifiuti radioattivi.

GREENPEACE: CERNOBYL, INCENDI RISCHIANO DI RILASCIARE RADIOATTIVITÀ PARI A UN INCIDENTE NUCLEARE RILEVANTE

Greenpeace stima che gli incendi in corso nei boschi attorno alla centrale nucleare di Cernobyl rischiano di causare una notevole dispersione di radioattività. A causa della notevole contaminazione delle foreste e dei terreni attorno alla centrale, i quantitativi totali di materiali radioattivi rilasciati da questi incendi potrebbero essere potenzialmente equivalenti a quelli di un incidente nucleare rilevante.

Ventinove anni dopo l’esplosione della centrale, l’incidente a Cernobyl non è ancora un capitolo chiuso. Sulle foreste e sui terreni attorno alla centrale si sono depositati, infatti, quantitativi notevoli di sostanze radioattive molto pericolose come il cesio 137, lo stronzio 90 e il plutonio 239. Gli incendi del 2010 hanno già disperso in atmosfera radioattività dal suolo, dagli alberi e dalle altre piante.

I primi incendi nell’area sono stati segnalati il 26 aprile, giorno dell’anniversario del disastro avvenuto nel 1986. La radioattività è rilasciata in atmosfera dai fumi dell’incendio e dispersa a seconda dell’andamento dei venti, dell’altezza del pennacchio di fumo e altri fattori metereologici. In incendi precedenti la radioattività è arrivata fino alla Turchia. Sulla base di dati satellitari, gli esperti di Greenpeace stimano che gli incendi abbiano interessato un’area complessiva di circa 13.300 ettari, di cui 4.100 ettari sono effettivamente andati a fuoco.

L’incendio non ha raggiunto, al momento, l’area più contaminata attorno alla centrale ma le fiamme sono adesso a 15-20 chilometri dal sito.

All’inizio di quest’anno è stata presentata un’analisi dettagliata sui rischi da incendio a Cernobyl: la conclusione è stata che nel caso peggiore il rilascio di radioattività in atmosfera potrebbe equivalere a un incidente di livello 6 della scala INES (International Nuclear Events Scale). Sia l’incidente di Cernobyl che quello di Fukushima sono stati collocati al livello 7 della scala INES.

Potremo costruire un altro sarcofago attorno alla centrale, ma è impossibile costruirne uno per coprire tutta l’area pesantemente contaminata attorno all’impianto. Dopo ventinove anni, i rischi di rilascio di radioattività dall’area non sono sotto controllo e ciò può comportare ulteriori dispersioni di radioattività sull’Europa.

Come a Cernobyl, in Ucraina, notevoli quantitativi di radioattività si sono depositati anche nelle foreste attorno alla centrale di Fukushima, in Giappone. A dispetto degli sforzi delle autorità giapponesi, la decontaminazione completa dei villaggi, delle campagne e delle foreste attorno alla centrale esplosa nel 2011 è impossibile. Uno stock notevole di materiali radioattivi rimarrà depositato per tempi molto lunghi con rischi di incendio e di dilavamento verso aree più densamente popolate. Una situazione particolarmente preoccupante si registra con lo scioglimento delle nevi, in primavera, o durante piogge particolarmente forti che possono disperdere la radioattività in terre, fiumi e laghi.