Scorie cercano casa

Di Elisa Cozzarini dalla Nuova Ecologia 

Nelle prossime settimane sarà pubblica la lista dei siti idonei a ospitare il deposito nazionale per i rifiuti radioattivi. La Sogin ha lanciato una campagna per sensibilizzare i cittadini sull’opera. Basterà?


A ventotto anni dal referendum che ha messo fine all’era nucleare in Italia, il problema delle scorie radioattive non è stato ancora risolto. Oggi il governo dichiara per l’ennesima volta di voler trovare una soluzione. Ma prima di tutto bisogna individuare il luogo dove costruire il deposito nazionale. Sarà un percorso lungo, che prevede una consultazione pubblica impopolare e siamo già in ritardo sulla tabella di marcia. Il 20 agosto infatti è slittata di nuovo la pubblicazione della Cnapi, la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee. I rifiuti saranno circa 90mila metri cubi, di cui il 60% derivanti dalle operazioni di smantellamento degli impianti nucleari e il 40% dalle attività di medicina e industriali, che si continueranno a produrre anche in futuro. Con il deposito, è prevista anche la realizzazione di un parco tecnologico, che dovrebbe diventare un centro di ricerca d’avanguardia.
«Il sito doveva essere operativo già nel 2008, invece siamo ancora al punto che non si sa dove verrà realizzato. Intanto a Saluggia si stanno costruendo due nuovi grandi depositi definiti “temporanei”. Temiamo che questo significhi che in verità le scorie rimarranno qui per sempre», afferma Gian Piero Godio, di Legambiente del Vercellese, sottolineando: «Di fatto il deposito nazionale esiste già, ed è in Piemonte, a Saluggia, nel luogo più inidoneo». Questa regione ospita oltre i due terzi dei rifiuti radioattivi esistenti in Italia e il 93% del totale dei materiali radioattivi.
Il centro Eurex di Saluggia si trova sulle rive della Dora Baltea, il maggiore affluente del Po, a monte dei pozzi di prelievo del più grande acquedotto del Piemonte, proprio sopra alla falda che li alimenta. Durante l’alluvione del 2000, il premio Nobel della Fisica Carlo Rubbia parlò di «catastrofe planetaria sfiorata». Se le scorie liquide fossero state portate via dal fiume in piena, gli effetti sarebbero stati devastanti per la Pianura Padana e l’Adriatico. Sulla vicenda è stato realizzato anche un documentario, “Là suta”, che in piemontese significa là sotto. Quella di Saluggia, per gli autori, è una storia locale e allo stesso tempo emblematica della difficoltà di gestire le scorie nucleari.
Nonostante l’allarme lanciato da Rubbia, i rifiuti liquidi ad alta attività sono ancora lì dov’erano. È in costruzione l’impianto Cemex per solidificarli ed è previsto un deposito per stoccarli alla fine del condizionamento. «Siamo d’accordo sulla cementazione delle scorie, ma poi devono essere trasferite subito nel deposito unico: se davvero si intende realizzarlo, non ha senso fare anche i nuovi mega-depositi locali», commenta Godio. Sogin, la società pubblica responsabile per la sicurezza e lo smantellamento degli impianti nucleari italiani, assicura che i lavori inizieranno nel 2020, in quattro anni il deposito sarà pronto e nel 2035 si concluderà il piano di smantellamento, al costo complessivo di 6,5 miliardi di euro. Sogin ha lanciato una campagna mediatica massiccia, che terminerà a novembre e costerà 3,2 milioni di euro, per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza di quest’opera per la sicurezza nazionale, con un sito web, depositonazionale.it, ricco d’informazioni, video e numeri.
scorie
Ma basterà quest’operazione di trasparenza a rassicurare la popolazione e far accettare la costruzione del deposito sotto casa propria? In Sardegna le proteste sono già cominciate. Il ministro dell’Ambiente Galletti ha affermato che l’area non è stata ancora scelta e «una decisione del genere non può essere assunta “nelle segrete stanze” e imposta d’imperio ai territori e alle comunità». La Cnapi è stata elaborata da Sogin sulla base delle linee guida stabilite dall’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale. Il nulla osta alla sua pubblicazione da parte dei ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo sarà il momento d’avvio di un processo di consultazione pubblica, con un Seminario nazionale entro 120 giorni e poi la pubblicazione di una nuova Carta delle aree idonee, tra cui verrà scelto il sito definitivo anche in base ad autocandidature dei territori.
«Noi ci opporremo all’eventualità che si faccia in Basilicata, non possiamo fidarci di Sogin, per come ha operato finora. Manca il programma nazionale per la gestione delle scorie previsto in base alle norme europee e l’autorità di controllo, Isin, non è ancora operativa. Fa le sue veci Ispra, che però è sotto organico», afferma Pasquale Stigliani, del comitato Scanziamo le scorie. A Scanzano Ionico è vivo il ricordo dell’affronto subito nel 2003, quando il governo Berlusconi emanò di punto in bianco un decreto per la costruzione di un deposito geologico, senza alcun dialogo con i cittadini e senza neppure valutare che per una soluzione di quel tipo ci sarebbero voluti trent’anni, non cinque. Tutta la Basilicata si ribellò e subito il governo fece marcia indietro.
«Quell’operazione è servita solo a perdere tempo», afferma Massimo Scalia, fisico e storico leader ambientalista, tra i fondatori di Legambiente. E aggiunge: «Non contento, Berlusconi, con la proposta di ritorno al nucleare nel 2010, ha contribuito ancora a dilazionare i tempi, spostando l’attenzione dalla necessità di gestire le scorie all’ipotesi di costruire nuove centrali. Ora bisogna che il governo si decida a trovare una soluzione». Restano irrisolte, per Scalia, due grosse questioni: quella degli elementi che si trovano a Trisaia di Rotondella, in Basilicata, di combustibile irraggiato del ciclo uranio-torio, che non possono essere riprocessati perché non esistono al mondo impianti industriali per farlo. E l’altro problema è quello di Latina, con duemila tonnellate di grafite contaminata che risulterà dallo smantellamento.

Il corteo a Scanzano Jonico contro il deposito di scorie nucleari

«Questi elementi sono destinati all’area di stoccaggio temporaneo per i rifiuti ad alta e media attività», dichiara Lamberto Matteocci, responsabile del servizio controllo attività nucleari dell’Ispra, specificando: «Il deposito nazionale, di superficie e non geologico, sarà costituito da due impianti, uno per lo stoccaggio provvisorio dei rifiuti ad alta e media attività, in attesa che si trovi una collocazione definitiva possibilmente con un accordo internazionale, l’altro per lo smaltimento definitivo delle scorie che decadono dopo qualche centinaio di anni. All’estero sono diverse le esperienze di siti nazionali di smaltimento, per cui possiamo garantire la sicurezza dell’operazione». Questo vale per i rifiuti a bassa e media attività. Per le scorie più pericolose, solamente la Finlandia sta costruendo, a Onkalo, un deposito geologico che dovrebbe durare per tutto il tempo di decadimento, centomila anni, un’infinità.