Pubblicato da www.astrolabio.amicidellaterra.it
di Roberto Mezzanotte
Nel giugno scorso, a distanza di molti anni dall’ultima analoga
pubblicazione, l’ISPRA, Istituto superiore per la protezione e la
ricerca ambientale, nella sua veste di autorità nazionale per il
controllo sulla sicurezza nucleare e la radioprotezione, ha emanato una
nuova guida tecnica, la n. 29, che indica i criteri per la
localizzazione dell’impianto di smaltimento dei rifiuti radioattivi a
bassa e media attività.
La ripresa della pubblicazione di guide tecniche (l’ISPRA ne annuncia
già un’altra) rappresenta di per sé un fatto ampiamente positivo.
Nell’attuale situazione italiana, dove, salvo qualche eccezione minore,
la SOGIN è l’unico esercente di impianti nucleari, tutti peraltro da
lungo tempo fermi e destinati allo smantellamento, ed è anche il
soggetto incaricato della realizzazione e della successiva gestione del
deposito nazionale dei rifiuti radioattivi, le indicazioni dei requisiti
tecnici di sicurezza da parte dell’autorità di controllo possono essere
dati all’esercente anche in modo diretto, senza dover necessariamente
ricorrere alla diffusione di documenti specifici, come deve invece
essere quando – è il caso ad esempio degli Stati Uniti - gli
interlocutori dell’ente di controllo ai quali quei requisiti sono
destinati sono numerosi. Tuttavia, la divulgazione dei criteri e dei
requisiti di sicurezza attraverso guide tecniche dell’autorità di
controllo, anche quando il soggetto tenuto ad applicarle è uno solo,
costituisce uno strumento di informazione generale ed un elemento di
trasparenza. E se informazione e trasparenza sono sempre necessari,
divengono indispensabili quando il tema in discussione è la
localizzazione di un’opera, come il deposito nazionale dei rifiuti
radioattivi, la cui necessità è unanimemente condivisa, ma che nessuno
sembra ancora disposto a vedersela realizzare dalle proprie parti.
L’unanime condivisione della necessità dell’opera e della sua urgenza
(oltre 28 mila metri cubi di rifiuti già presenti nei siti di
produzione sparsi sul territorio nazionale e in attesa di sistemazione,
circa altrettanti da produrre con lo smantellamento degli impianti
nucleari, il rientro dei rifiuti prodotti in Inghilterra e in Francia
con il riprocessamento del combustibile nucleare delle centrali
italiane, il programma di tale rientro che, per quanto riguarda la
Francia, dovrà essere definitivamente stabilito in accordo con la
Francia stessa entro il 2018 – vale a dire ormai domani) aveva fatto
ritenere – o comunque sperare - che i tempi per la definizione dei
criteri per la localizzazione del deposito nazionale sarebbero stati più
rapidi, essendo tale definizione l’inevitabile atto iniziale di un
percorso lungo e complesso. Infatti il decreto legislativo n. 31,
emanato il 15 febbraio 2010, nello stabilire le norme procedurali per la
localizzazione e la realizzazione del deposito, ha previsto che il
primo passo dell’iter fosse proprio l’indicazione di tali criteri. La
durata complessiva del percorso fissato dal decreto, ben oltre un
quinquennio anche a voler essere molto ottimisti, sembrava suggerire –
se non imporre – un avvio per quanto più possibile sollecito. Sono stati
necessari invece più di due anni già solo per superare un primo
ostacolo di natura formale: il fatto che il decreto n. 31 aveva affidato
la definizione dei criteri all’Agenzia per la sicurezza nucleare, ente
allora previsto dalla legge, ma di fatto mai nato (verrà ufficialmente
soppresso nel dicembre 2011), e l’interpretazione prevalente era che
tale compito, pur nell’attesa dell’operatività della nuova Agenzia, non
potesse essere svolto dall’ISPRA, che nel frattempo continuava invece ad
esercitare, come fa ancora oggi, tutte le altre funzioni di autorità di
controllo nucleare che le leggi anteriori all’istituzione dell’Agenzia
gli attribuivano.
Gli indugi vennero rotti dal Ministro dello sviluppo economico pro tempore,
il quale, come dichiarò nel luglio 2012 nel corso di un’audizione
innanzi alla Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei
rifiuti, chiese all’ISPRA di procedere alla definizione dei criteri, in
modo tale che – era la previsione del Ministro – la SOGIN, in base a
quei criteri, potesse poi a sua volta presentare la proposta di carta
nazionale delle aree potenzialmente idonee alla localizzazione del
deposito “presumibilmente entro il giugno 2013”.
In realtà i tempi si sono protratti maggiormente. Appare verosimile
che la prima stesura del testo non abbia richiesto all’ISPRA tempi
particolarmente lunghi, ma che a pesare di più siano stati i confronti
internazionali che, opportunamente, come lo stesso Istituto riferisce
nella relazione illustrativa pubblicata insieme alla guida tecnica,
l’ISPRA ha ritenuto di svolgere con gli enti omologhi di alcuni paesi
europei e quindi con l’AIEA, una fase che si è conclusa nell’ottobre
2013. Successivamente sono sati consultati enti tecnici italiani (ENEA,
CNR, Istituto Geografico Militare, Istituto Superiore di Sanità,
Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) e la stessa SOGIN. A
seguito della valutazione e dell’eventuale recepimento delle
osservazioni ricevute, la guida, nella sua versione definitiva, è stata
finalmente pubblicata.
Sarebbe stato forse possibile aprire, in parallelo con le
consultazioni degli enti italiani e quindi senza alcun ulteriore
allungamento dei tempi, la discussione a una platea più ampia, ad
esempio pubblicando la guida in forma di bozza per commenti, come a suo
tempo fu fatto per quella che è ad oggi la più nota ed utilizzata tra le
guide emesse dall’ente di controllo, la guida tecnica n. 26 sulla
gestione dei rifiuti radioattivi. Suggerimenti migliorativi sul piano
tecnico non ne sarebbero probabilmente venuti, ma possibili vantaggi sul
piano dell’immagine e della trasparenza, sì.
Ci si può chiedere se la guida tecnica n. 29 corrisponda pienamente a quanto richiesto dal decreto legislativo 31/2010.
Sotto questo profilo va detto innanzi tutto che nella guida, già a
partire dal suo titolo, viene chiaramente esplicitata una scelta che nel
decreto può essere ritenuta sottintesa, ma non è formalmente espressa:
il deposito assunto a riferimento per la definizione dei criteri di
localizzazione è di tipo superficiale.
Questa scelta non può che essere ampiamente (e facilmente) condivisa,
sia perché quello superficiale è stato, per i rifiuti a bassa e media
attività, il tipo di deposito indicato come preferibile da quanti, enti
competenti, commissioni e gruppi di lavoro ad hoc, si sono
espressi da ormai vent’anni a questa parte; sia perché, come detto, lo
stesso decreto legislativo 31, pur non indicando espressamente il tipo
di opera da realizzare, ha stabilito alcuni termini temporali per il
processo di localizzazione che, ancorché ordinatori, sarebbero
incompatibili con la qualificazione e l’autorizzazione del sito per un
deposito di tipo geologico.
D’altra parte, la considerazione dei diversi tempi necessari per la
localizzazione di un deposito geologico o di un deposito superficiale
costituisce, nella situazione di urgenza in cui ci si trova in Italia
per la gestione dei rifiuti radioattivi, un elemento non secondario
della scelta, insieme ovviamente al fatto che un impianto di tipo
superficiale è pienamente idoneo allo smaltimento di rifiuti a bassa e
media attività.
Vi è invece un aspetto per il quale l’aderenza della guida al decreto legislativo appare imperfetta.
Nel decreto, il deposito nazionale è definito come l’opera destinata “allo
smaltimento a titolo definitivo dei rifiuti radioattivi a bassa e media
attività … e all'immagazzinamento, a titolo provvisorio di lunga
durata, dei rifiuti ad alta attività e del combustibile irraggiato
provenienti dalla pregressa gestione di impianti nucleari”. Della
seconda parte dell’opera complessiva nella guida tecnica non vi è
traccia: a iniziare dal titolo e per tutto il testo si parla unicamente
di rifiuti a bassa e media attività.
Del deposito provvisorio dei rifiuti ad alta attività e del
combustibile irraggiato si fa invece menzione nella relazione
illustrativa che accompagna la guida, dove si dice che “Un sito
ritenuto idoneo per la localizzazione di un impianto di smaltimento
superficiale di rifiuti radioattivi a bassa e media attività sulla base
dell’applicazione di criteri di selezione … quali quelli individuati
nella Guida Tecnica può ritenersi idoneo … anche per la localizzazione
di un deposito di stoccaggio di lungo termine”. Al di là della forma verbale utilizzata (“può ritenersi”),
forse non la più adatta per esprimere un criterio di sicurezza, che
appare così posto nel campo dell’opinabilità, ciò che suscita qualche
dubbio è il senso da attribuire all’insistito richiamo che nella
relazione viene fatto alla necessità di verificare la compatibilità
delle caratteristiche del deposito di stoccaggio dell’alta attività con
quelle del sito prescelto. A tale richiamo possono essere attribuiti due
significati: o si tratta della considerazione, ovvia e valida in
generale per ogni opera e non solo per il deposito di stoccaggio in
questione, che la progettazione deve essere congruente con le
caratteristiche del sito scelto (non basta, ad esempio, che il massimo
terremoto atteso sul sito sia inferiore ad un dato valore di
riferimento, ma è anche necessario che le strutture siano poi
progettate, con i dovuti margini, per resistere a quel terremoto);
oppure – considerazione specifica per il caso in questione - che un sito
selezionato nel rispetto dei criteri definiti per la localizzazione di
un impianto di smaltimento di rifiuti a bassa e media attività potrebbe,
in realtà, non risultare idoneo ad ospitare un deposito di stoccaggio
di lungo termine di rifiuti ad alta attività e di combustibile
irraggiato, realizzato secondo gli standard normali per quel tipo di
opera. Va da sé che se il significato da attribuire al richiamo fosse
quest’ultimo, la mancanza nella guida di un riferimento diretto all’alta
attività avrebbe un peso maggiore.
Ma, sempre per quanto attiene al deposito di lungo temine per l’alta
attività, la relazione illustrativa presenta, in confronto al decreto
legislativo 31, un altro aspetto, per così dire, curioso. Il decreto
legislativo è molto preciso nel definire il deposito nazionale come
un’opera unica, che include un impianto di smaltimento per i rifiuti
radioattivi a bassa e media attività e, appunto, il deposito temporaneo
di lungo termine per i rifiuti ad alta attività e per il combustibile
irraggiato. A rendere incontrovertibile l’indicazione di unicità
dell’opera e del sito vi è anche il fatto che il deposito nazionale (con
entrambi quindi gli elementi di cui si compone) deve essere posto
all’interno di un unico “parco tecnologico”, un’indicazione chiaramente
tesa a rendere l’opera stessa più appetibile o, se si vuole, meno invisa
al territorio che dovrà ospitarla.
Ora, oltre al fatto già osservato che il deposito per l’alta attività
non è in alcun modo menzionato nel corpo della guida tecnica, la
precisa indicazione di legge sull’unicità del sito viene presentata,
nella relazione illustrativa, alla stregua di una mera ipotesi, conclusa
con il ribadire la necessità - nel caso della scelta di un sito unico -
della verifica della compatibilità del deposito per l’alta attività con
le caratteristiche del sito stesso: “Qualora nel sito che sarà ritenuto idoneo sulla base dell’applicazione di tali criteri [quelli per la localizzazione dell’impianto di smaltimento della bassa e media attività NdA] si
intenda, come previsto dal D.Lgs. n. 31/2010, realizzare anche un
deposito di stoccaggio provvisorio di lungo termine per i rifiuti
radioattivi ad alta attività e per il combustibile irraggiato residuo,
dovrà essere fornita evidenza, nell’ambito delle relative procedure
autorizzative, della piena compatibilità di tale tipologia di deposito
con il sito prescelto”.
Se si volesse attribuire un significato a tutti questi elementi
verrebbe quasi da pensare che l’ISPRA abbia inteso suggerire una
riconsiderazione della scelta sancita dal decreto legislativo, o che
abbia preso atto di un eventuale ripensamento in corso in altre sedi.
Conoscendo tuttavia le posizioni che hanno da sempre contraddistinto
l’ente di controllo, questa possibilità non sembra realisticamente da
prendere in conto. È però certo che l’ipotesi non potrebbe neppure
essere adombrata se il deposito di lungo termine fosse stato almeno
menzionato nel corpo della guida tecnica, se la validità dei criteri di
localizzazione anche per tale deposito fosse stata affermata con maggior
decisione, se l’unicità del sito fosse stata presentata per quello che
è: non una vaga possibilità, ma una scelta logica e legislativamente
codificata.
Infine, una considerazione di merito.
La guida definisce due insiemi di criteri, detti rispettivamente
criteri di esclusione e criteri di approfondimento. I primi servono ad
effettuare una preliminare “scrematura” del territorio nazionale,
eliminando tutte le aree che non rispondono a predeterminati requisiti
fondamentali. I secondi consentono invece di compiere una ulteriore
valutazione delle aree che hanno superato la prima selezione,
valutazione che può portare a sua volta all’esclusione di aree, ovvero a
una graduatoria della loro idoneità.
Sembra ovvio che, così definiti, i criteri di esclusione debbano
essere stabiliti attraverso soglie determinate o comunque indicazioni
precise, e ciò è tra l’altro confermato dalla stessa guida tecnica, ove
questa dice che “L’applicazione dei “Criteri di Esclusione” è
effettuata attraverso verifiche basate su normative, dati e conoscenze
tecniche disponibili per l’intero territorio nazionale e immediatamente
fruibili, anche mediante l’utilizzo dei Sistemi Informativi Geografici”.
Si tratta insomma di riscontri relativamente semplici e immediati.
D’altra parte, il fatto stesso che siano stati previsti criteri di
approfondimento è implicita conferma che quelli di esclusione non
richiedono valutazioni più complesse della verifica di una soglia o del
riscontro di un’indicazione.
E di fatto, alcuni criteri di esclusione sono definiti attraverso soglie o indicazioni specifiche e precise, ma non tutti.
Il caso forse più evidente è il criterio di esclusione per inadeguata
distanza dai centri abitati, distanza che, si limita a dire la guida, “deve
essere tale da prevenire possibili interferenze durante le fasi di
esercizio del deposito, chiusura e di controllo istituzionale e nel
periodo ad esse successivo, tenuto conto dell’estensione dei centri
medesimi”.
Prescindendo dalla difficoltà di escludere a priori, nella realtà
italiana, ogni “possibile interferenza” con i centri circostanti
(tenendo tra l’altro conto che il deposito nazionale dovrà essere
collocato all’interno di un parco tecnologico, difficilmente enucleabile
da un contesto territoriale), sembra evidente che, indicato in tal
modo, il criterio potrà essere applicato solo in fase di approfondimento
e che pertanto la definizione di un criterio, in termini di raggio di
esclusione in funzione della popolazione residente nei diversi centri,
in base al quale effettuare la prima selezione viene di fatto così
lasciata al soggetto attuatore, la SOGIN.
Vi è poi qualche altro caso in cui il criterio di esclusione non
sembra tanto definito quanto potrebbe forse apparire. Un esempio è il
vulcanismo, per il quale si rimanda all’articolo di L. Serva su questo
stesso numero de “l’Astrolabio”.
Un problema diverso può derivare dal criterio di esclusione per le
aree ad elevata sismicità. In questo caso le indicazioni della guida
potrebbero portare all’esclusione – a rigore – dell’intero territorio
nazionale, a meno di non voler legare l’idoneità di un’area ad
un’opinabile valutazione del periodo di ritorno di eventi di una data,
moderata intensità. Anche in questo caso si rinvia all’articolo di
Serva.
Al di là della mancata, formale considerazione dei rifiuti ad alta
attività e del combustibile irraggiato, che si spera potranno comunque
essere ospitati sul sito che verrà selezionato, con la pubblicazione
della guida tecnica dell’ISPRA il primo passo di un lungo e
prevedibilmente arduo percorso che dovrà auspicabilmente portare alla
realizzazione del deposito nazionale per i rifiuti radioattivi è stato
finalmente compiuto. Si può dire - e lo si è qui detto - che avrebbe
forse potuto essere più rapido, più deciso, più preciso. Ma quel che ora
più conta è che tutti gli attori che la complessa procedura chiama in
causa svolgano adesso il proprio ruolo con il massimo impegno. Si tratta
di dare soluzione a un vero problema nazionale e di far fronte a una
situazione di urgenza prima che si verifichino situazioni di emergenza.
La mancata realizzazione dell’opera lascerebbe i rifiuti radioattivi
dove oggi si trovano: sparsi su siti che, per quei fini, nessuno ha mai
scelto, per i quali nessun criterio di selezione è stato mai scritto e,
verisimilmente, neppure pensato.
Per supplire alla mancanza del deposito nazionale, su quei siti sono
stati costruiti o si stanno costruendo depositi che dovranno ospitare i
rifiuti già presenti e quelli che si produrranno con lo smantellamento
degli impianti. La situazione che si creerà sarà certamente meno
precaria rispetto all’attuale; ma quei depositi non potranno mai
comunque essere impianti di smaltimento, e se la nostra generazione non
sarà stata capace di dare risposta al problema, questo graverà
inevitabilmente ed indebitamente sulle prossime. Non avremo fatto una
bella figura.
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