E’ necessario chiarire e approfondire gli elementi della realizzazione
del deposito nazionale dei rifiuti radioattivi. Qual è la tipologia di
deposito, quali sono le aree interessate? Quali procedure sono previste e
con quali tempi? Ci sono criticità che vanno sollevate? L’associazione
antinucleare ScanZiamo le Scorie ne discute con i volontari in un
incontro che si terrà il 3 gennaio 2015, giorno entro il quale la Sogin
presenterà all’Istituto superiore per la Protezione e la Sicurezza
ambientale (Ispra) la proposta di Carta nazionale delle Aree
Potenzialmente Idonee (Cnapi) ad ospitare il Deposito Nazionale. Dopo 11
anni di inerzia – sostiene l’associazione in una nota - non si può non
partire dalla lezione di Scanzano, ricordiamolo, un errore sia tecnico
che politico. In questa fase è importante attivare dei processi di
trasparenza per conoscere e affrontare un problema ancora irrisolto nel
mondo. L’incontro è aperto al pubblico e potrà essere seguito in
streaming dalla pagina facebook Tienilammente. Per maggiori informazioni
www.scanziamolescorie.blogspot.it/ bas 02
Nucleare, il 3 a Scanzano J. dibattito su deposito rifiuti
Pubblicato da agenzia AdnKronos
VERSO IL DEPOSITO NAZIONALE DEI RIFIUTI RADIOATTIVI - La guida tecnica 29 dell’ISPRA: il primo passo(?)
Pubblicato da www.astrolabio.amicidellaterra.it
di Roberto Mezzanotte
Nel giugno scorso, a distanza di molti anni dall’ultima analoga
pubblicazione, l’ISPRA, Istituto superiore per la protezione e la
ricerca ambientale, nella sua veste di autorità nazionale per il
controllo sulla sicurezza nucleare e la radioprotezione, ha emanato una
nuova guida tecnica, la n. 29, che indica i criteri per la
localizzazione dell’impianto di smaltimento dei rifiuti radioattivi a
bassa e media attività.
La ripresa della pubblicazione di guide tecniche (l’ISPRA ne annuncia
già un’altra) rappresenta di per sé un fatto ampiamente positivo.
Nell’attuale situazione italiana, dove, salvo qualche eccezione minore,
la SOGIN è l’unico esercente di impianti nucleari, tutti peraltro da
lungo tempo fermi e destinati allo smantellamento, ed è anche il
soggetto incaricato della realizzazione e della successiva gestione del
deposito nazionale dei rifiuti radioattivi, le indicazioni dei requisiti
tecnici di sicurezza da parte dell’autorità di controllo possono essere
dati all’esercente anche in modo diretto, senza dover necessariamente
ricorrere alla diffusione di documenti specifici, come deve invece
essere quando – è il caso ad esempio degli Stati Uniti - gli
interlocutori dell’ente di controllo ai quali quei requisiti sono
destinati sono numerosi. Tuttavia, la divulgazione dei criteri e dei
requisiti di sicurezza attraverso guide tecniche dell’autorità di
controllo, anche quando il soggetto tenuto ad applicarle è uno solo,
costituisce uno strumento di informazione generale ed un elemento di
trasparenza. E se informazione e trasparenza sono sempre necessari,
divengono indispensabili quando il tema in discussione è la
localizzazione di un’opera, come il deposito nazionale dei rifiuti
radioattivi, la cui necessità è unanimemente condivisa, ma che nessuno
sembra ancora disposto a vedersela realizzare dalle proprie parti.
L’unanime condivisione della necessità dell’opera e della sua urgenza
(oltre 28 mila metri cubi di rifiuti già presenti nei siti di
produzione sparsi sul territorio nazionale e in attesa di sistemazione,
circa altrettanti da produrre con lo smantellamento degli impianti
nucleari, il rientro dei rifiuti prodotti in Inghilterra e in Francia
con il riprocessamento del combustibile nucleare delle centrali
italiane, il programma di tale rientro che, per quanto riguarda la
Francia, dovrà essere definitivamente stabilito in accordo con la
Francia stessa entro il 2018 – vale a dire ormai domani) aveva fatto
ritenere – o comunque sperare - che i tempi per la definizione dei
criteri per la localizzazione del deposito nazionale sarebbero stati più
rapidi, essendo tale definizione l’inevitabile atto iniziale di un
percorso lungo e complesso. Infatti il decreto legislativo n. 31,
emanato il 15 febbraio 2010, nello stabilire le norme procedurali per la
localizzazione e la realizzazione del deposito, ha previsto che il
primo passo dell’iter fosse proprio l’indicazione di tali criteri. La
durata complessiva del percorso fissato dal decreto, ben oltre un
quinquennio anche a voler essere molto ottimisti, sembrava suggerire –
se non imporre – un avvio per quanto più possibile sollecito. Sono stati
necessari invece più di due anni già solo per superare un primo
ostacolo di natura formale: il fatto che il decreto n. 31 aveva affidato
la definizione dei criteri all’Agenzia per la sicurezza nucleare, ente
allora previsto dalla legge, ma di fatto mai nato (verrà ufficialmente
soppresso nel dicembre 2011), e l’interpretazione prevalente era che
tale compito, pur nell’attesa dell’operatività della nuova Agenzia, non
potesse essere svolto dall’ISPRA, che nel frattempo continuava invece ad
esercitare, come fa ancora oggi, tutte le altre funzioni di autorità di
controllo nucleare che le leggi anteriori all’istituzione dell’Agenzia
gli attribuivano.
Gli indugi vennero rotti dal Ministro dello sviluppo economico pro tempore,
il quale, come dichiarò nel luglio 2012 nel corso di un’audizione
innanzi alla Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei
rifiuti, chiese all’ISPRA di procedere alla definizione dei criteri, in
modo tale che – era la previsione del Ministro – la SOGIN, in base a
quei criteri, potesse poi a sua volta presentare la proposta di carta
nazionale delle aree potenzialmente idonee alla localizzazione del
deposito “presumibilmente entro il giugno 2013”.
In realtà i tempi si sono protratti maggiormente. Appare verosimile
che la prima stesura del testo non abbia richiesto all’ISPRA tempi
particolarmente lunghi, ma che a pesare di più siano stati i confronti
internazionali che, opportunamente, come lo stesso Istituto riferisce
nella relazione illustrativa pubblicata insieme alla guida tecnica,
l’ISPRA ha ritenuto di svolgere con gli enti omologhi di alcuni paesi
europei e quindi con l’AIEA, una fase che si è conclusa nell’ottobre
2013. Successivamente sono sati consultati enti tecnici italiani (ENEA,
CNR, Istituto Geografico Militare, Istituto Superiore di Sanità,
Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) e la stessa SOGIN. A
seguito della valutazione e dell’eventuale recepimento delle
osservazioni ricevute, la guida, nella sua versione definitiva, è stata
finalmente pubblicata.
Sarebbe stato forse possibile aprire, in parallelo con le
consultazioni degli enti italiani e quindi senza alcun ulteriore
allungamento dei tempi, la discussione a una platea più ampia, ad
esempio pubblicando la guida in forma di bozza per commenti, come a suo
tempo fu fatto per quella che è ad oggi la più nota ed utilizzata tra le
guide emesse dall’ente di controllo, la guida tecnica n. 26 sulla
gestione dei rifiuti radioattivi. Suggerimenti migliorativi sul piano
tecnico non ne sarebbero probabilmente venuti, ma possibili vantaggi sul
piano dell’immagine e della trasparenza, sì.
Ci si può chiedere se la guida tecnica n. 29 corrisponda pienamente a quanto richiesto dal decreto legislativo 31/2010.
Sotto questo profilo va detto innanzi tutto che nella guida, già a
partire dal suo titolo, viene chiaramente esplicitata una scelta che nel
decreto può essere ritenuta sottintesa, ma non è formalmente espressa:
il deposito assunto a riferimento per la definizione dei criteri di
localizzazione è di tipo superficiale.
Questa scelta non può che essere ampiamente (e facilmente) condivisa,
sia perché quello superficiale è stato, per i rifiuti a bassa e media
attività, il tipo di deposito indicato come preferibile da quanti, enti
competenti, commissioni e gruppi di lavoro ad hoc, si sono
espressi da ormai vent’anni a questa parte; sia perché, come detto, lo
stesso decreto legislativo 31, pur non indicando espressamente il tipo
di opera da realizzare, ha stabilito alcuni termini temporali per il
processo di localizzazione che, ancorché ordinatori, sarebbero
incompatibili con la qualificazione e l’autorizzazione del sito per un
deposito di tipo geologico.
D’altra parte, la considerazione dei diversi tempi necessari per la
localizzazione di un deposito geologico o di un deposito superficiale
costituisce, nella situazione di urgenza in cui ci si trova in Italia
per la gestione dei rifiuti radioattivi, un elemento non secondario
della scelta, insieme ovviamente al fatto che un impianto di tipo
superficiale è pienamente idoneo allo smaltimento di rifiuti a bassa e
media attività.
Vi è invece un aspetto per il quale l’aderenza della guida al decreto legislativo appare imperfetta.
Nel decreto, il deposito nazionale è definito come l’opera destinata “allo
smaltimento a titolo definitivo dei rifiuti radioattivi a bassa e media
attività … e all'immagazzinamento, a titolo provvisorio di lunga
durata, dei rifiuti ad alta attività e del combustibile irraggiato
provenienti dalla pregressa gestione di impianti nucleari”. Della
seconda parte dell’opera complessiva nella guida tecnica non vi è
traccia: a iniziare dal titolo e per tutto il testo si parla unicamente
di rifiuti a bassa e media attività.
Del deposito provvisorio dei rifiuti ad alta attività e del
combustibile irraggiato si fa invece menzione nella relazione
illustrativa che accompagna la guida, dove si dice che “Un sito
ritenuto idoneo per la localizzazione di un impianto di smaltimento
superficiale di rifiuti radioattivi a bassa e media attività sulla base
dell’applicazione di criteri di selezione … quali quelli individuati
nella Guida Tecnica può ritenersi idoneo … anche per la localizzazione
di un deposito di stoccaggio di lungo termine”. Al di là della forma verbale utilizzata (“può ritenersi”),
forse non la più adatta per esprimere un criterio di sicurezza, che
appare così posto nel campo dell’opinabilità, ciò che suscita qualche
dubbio è il senso da attribuire all’insistito richiamo che nella
relazione viene fatto alla necessità di verificare la compatibilità
delle caratteristiche del deposito di stoccaggio dell’alta attività con
quelle del sito prescelto. A tale richiamo possono essere attribuiti due
significati: o si tratta della considerazione, ovvia e valida in
generale per ogni opera e non solo per il deposito di stoccaggio in
questione, che la progettazione deve essere congruente con le
caratteristiche del sito scelto (non basta, ad esempio, che il massimo
terremoto atteso sul sito sia inferiore ad un dato valore di
riferimento, ma è anche necessario che le strutture siano poi
progettate, con i dovuti margini, per resistere a quel terremoto);
oppure – considerazione specifica per il caso in questione - che un sito
selezionato nel rispetto dei criteri definiti per la localizzazione di
un impianto di smaltimento di rifiuti a bassa e media attività potrebbe,
in realtà, non risultare idoneo ad ospitare un deposito di stoccaggio
di lungo termine di rifiuti ad alta attività e di combustibile
irraggiato, realizzato secondo gli standard normali per quel tipo di
opera. Va da sé che se il significato da attribuire al richiamo fosse
quest’ultimo, la mancanza nella guida di un riferimento diretto all’alta
attività avrebbe un peso maggiore.
Ma, sempre per quanto attiene al deposito di lungo temine per l’alta
attività, la relazione illustrativa presenta, in confronto al decreto
legislativo 31, un altro aspetto, per così dire, curioso. Il decreto
legislativo è molto preciso nel definire il deposito nazionale come
un’opera unica, che include un impianto di smaltimento per i rifiuti
radioattivi a bassa e media attività e, appunto, il deposito temporaneo
di lungo termine per i rifiuti ad alta attività e per il combustibile
irraggiato. A rendere incontrovertibile l’indicazione di unicità
dell’opera e del sito vi è anche il fatto che il deposito nazionale (con
entrambi quindi gli elementi di cui si compone) deve essere posto
all’interno di un unico “parco tecnologico”, un’indicazione chiaramente
tesa a rendere l’opera stessa più appetibile o, se si vuole, meno invisa
al territorio che dovrà ospitarla.
Ora, oltre al fatto già osservato che il deposito per l’alta attività
non è in alcun modo menzionato nel corpo della guida tecnica, la
precisa indicazione di legge sull’unicità del sito viene presentata,
nella relazione illustrativa, alla stregua di una mera ipotesi, conclusa
con il ribadire la necessità - nel caso della scelta di un sito unico -
della verifica della compatibilità del deposito per l’alta attività con
le caratteristiche del sito stesso: “Qualora nel sito che sarà ritenuto idoneo sulla base dell’applicazione di tali criteri [quelli per la localizzazione dell’impianto di smaltimento della bassa e media attività NdA] si
intenda, come previsto dal D.Lgs. n. 31/2010, realizzare anche un
deposito di stoccaggio provvisorio di lungo termine per i rifiuti
radioattivi ad alta attività e per il combustibile irraggiato residuo,
dovrà essere fornita evidenza, nell’ambito delle relative procedure
autorizzative, della piena compatibilità di tale tipologia di deposito
con il sito prescelto”.
Se si volesse attribuire un significato a tutti questi elementi
verrebbe quasi da pensare che l’ISPRA abbia inteso suggerire una
riconsiderazione della scelta sancita dal decreto legislativo, o che
abbia preso atto di un eventuale ripensamento in corso in altre sedi.
Conoscendo tuttavia le posizioni che hanno da sempre contraddistinto
l’ente di controllo, questa possibilità non sembra realisticamente da
prendere in conto. È però certo che l’ipotesi non potrebbe neppure
essere adombrata se il deposito di lungo termine fosse stato almeno
menzionato nel corpo della guida tecnica, se la validità dei criteri di
localizzazione anche per tale deposito fosse stata affermata con maggior
decisione, se l’unicità del sito fosse stata presentata per quello che
è: non una vaga possibilità, ma una scelta logica e legislativamente
codificata.
Infine, una considerazione di merito.
La guida definisce due insiemi di criteri, detti rispettivamente
criteri di esclusione e criteri di approfondimento. I primi servono ad
effettuare una preliminare “scrematura” del territorio nazionale,
eliminando tutte le aree che non rispondono a predeterminati requisiti
fondamentali. I secondi consentono invece di compiere una ulteriore
valutazione delle aree che hanno superato la prima selezione,
valutazione che può portare a sua volta all’esclusione di aree, ovvero a
una graduatoria della loro idoneità.
Sembra ovvio che, così definiti, i criteri di esclusione debbano
essere stabiliti attraverso soglie determinate o comunque indicazioni
precise, e ciò è tra l’altro confermato dalla stessa guida tecnica, ove
questa dice che “L’applicazione dei “Criteri di Esclusione” è
effettuata attraverso verifiche basate su normative, dati e conoscenze
tecniche disponibili per l’intero territorio nazionale e immediatamente
fruibili, anche mediante l’utilizzo dei Sistemi Informativi Geografici”.
Si tratta insomma di riscontri relativamente semplici e immediati.
D’altra parte, il fatto stesso che siano stati previsti criteri di
approfondimento è implicita conferma che quelli di esclusione non
richiedono valutazioni più complesse della verifica di una soglia o del
riscontro di un’indicazione.
E di fatto, alcuni criteri di esclusione sono definiti attraverso soglie o indicazioni specifiche e precise, ma non tutti.
Il caso forse più evidente è il criterio di esclusione per inadeguata
distanza dai centri abitati, distanza che, si limita a dire la guida, “deve
essere tale da prevenire possibili interferenze durante le fasi di
esercizio del deposito, chiusura e di controllo istituzionale e nel
periodo ad esse successivo, tenuto conto dell’estensione dei centri
medesimi”.
Prescindendo dalla difficoltà di escludere a priori, nella realtà
italiana, ogni “possibile interferenza” con i centri circostanti
(tenendo tra l’altro conto che il deposito nazionale dovrà essere
collocato all’interno di un parco tecnologico, difficilmente enucleabile
da un contesto territoriale), sembra evidente che, indicato in tal
modo, il criterio potrà essere applicato solo in fase di approfondimento
e che pertanto la definizione di un criterio, in termini di raggio di
esclusione in funzione della popolazione residente nei diversi centri,
in base al quale effettuare la prima selezione viene di fatto così
lasciata al soggetto attuatore, la SOGIN.
Vi è poi qualche altro caso in cui il criterio di esclusione non
sembra tanto definito quanto potrebbe forse apparire. Un esempio è il
vulcanismo, per il quale si rimanda all’articolo di L. Serva su questo
stesso numero de “l’Astrolabio”.
Un problema diverso può derivare dal criterio di esclusione per le
aree ad elevata sismicità. In questo caso le indicazioni della guida
potrebbero portare all’esclusione – a rigore – dell’intero territorio
nazionale, a meno di non voler legare l’idoneità di un’area ad
un’opinabile valutazione del periodo di ritorno di eventi di una data,
moderata intensità. Anche in questo caso si rinvia all’articolo di
Serva.
Al di là della mancata, formale considerazione dei rifiuti ad alta
attività e del combustibile irraggiato, che si spera potranno comunque
essere ospitati sul sito che verrà selezionato, con la pubblicazione
della guida tecnica dell’ISPRA il primo passo di un lungo e
prevedibilmente arduo percorso che dovrà auspicabilmente portare alla
realizzazione del deposito nazionale per i rifiuti radioattivi è stato
finalmente compiuto. Si può dire - e lo si è qui detto - che avrebbe
forse potuto essere più rapido, più deciso, più preciso. Ma quel che ora
più conta è che tutti gli attori che la complessa procedura chiama in
causa svolgano adesso il proprio ruolo con il massimo impegno. Si tratta
di dare soluzione a un vero problema nazionale e di far fronte a una
situazione di urgenza prima che si verifichino situazioni di emergenza.
La mancata realizzazione dell’opera lascerebbe i rifiuti radioattivi
dove oggi si trovano: sparsi su siti che, per quei fini, nessuno ha mai
scelto, per i quali nessun criterio di selezione è stato mai scritto e,
verisimilmente, neppure pensato.
Per supplire alla mancanza del deposito nazionale, su quei siti sono
stati costruiti o si stanno costruendo depositi che dovranno ospitare i
rifiuti già presenti e quelli che si produrranno con lo smantellamento
degli impianti. La situazione che si creerà sarà certamente meno
precaria rispetto all’attuale; ma quei depositi non potranno mai
comunque essere impianti di smaltimento, e se la nostra generazione non
sarà stata capace di dare risposta al problema, questo graverà
inevitabilmente ed indebitamente sulle prossime. Non avremo fatto una
bella figura.
VERSO IL DEPOSITO NAZIONALE DEI RIFIUTI RADIOATTIVI - Vulcani e terremoti
Pubblicato da www.astrolabio.amicidellaterra.it
di Leonello Serva
E’ piuttosto difficile commentare la Guida Tecnica (GT) dell’ISPRA:
se, da un lato, la stessa cerca di applicare criteri molto pragmatici,
dall’altro, questo pragmatismo nel contesto italiano si può prestare a
contenziosi che non assicurano affatto il conseguimento del fine
prefisso. Il fine, considerando la situazione attuale dei depositi per i
rifiuti radioattivi a bassa e media attività, dovrebbe essere quello di
selezionare il sito nel minor tempo possibile.
Come riportato nella Relazione Illustrativa alla GT, qualora
il deposito nazionale per rifiuti radioattivi non venisse realizzato,
tutti gli esercenti, responsabili dei rifiuti radioattivi di pertinenza,
dovranno garantirne la conservazione in sicurezza realizzando presso
ciascun impianto idonee strutture per lo stoccaggio a lungo termine. Ciò
significherebbe una improponibile proliferazione di siti di stoccaggio
nell’intero territorio nazionale, anche in impianti localizzati in aree
ad elevata pericolosità naturale.
L’individuazione del sito dove realizzare il deposito è quindi
assolutamente necessaria e, in un contesto geologicamente complesso
quale quello italiano, al fine di non escludere tout-court la quasi
totalità del territorio nazionale, i criteri di esclusione devono essere
accuratamente ponderati.
Al fine di chiarire meglio quanto detto, si presentano di seguito due
esempi in riferimento ai primi due criteri di esclusione (rischio
vulcanico e rischio sismico). E’ importante altresì sottolineare che la
mancanza di un capitolo contenente le definizioni dei termini utilizzati
nella Guida causa ulteriori problemi di applicazione.
Il primo criterio di esclusione: il CE1, aree vulcaniche attive o quiescenti. Sono
quelle aree che presentano apparati vulcanici attivi o quiescenti,
quali: Etna, Stromboli, Colli Albani, Campi Flegrei, Ischia, Vesuvio,
Lipari, Vulcano, Panarea, Isola Ferdinandea e Pantelleria. (Terminologia
ripresa pragmaticamente da quella del Dipartimento Nazionale della
Protezione Civile, ma che lascia molte perplessità; qualcuno può pensare
di costruire un sito su un vulcano sottomarino?).
La guida fornisce un elenco dei vulcani italiani tradizionalmente
ritenuti attivi ma, di fatto, non fornisce criteri per la definizione
dello stato di attività dei vulcani/campi vulcanici e dell’estensione
delle aree da escludere.
L’individuazione delle aree potenzialmente interessate da
significative manifestazioni vulcaniche non è semplice come può
apparire, a partire dalla stessa definizione di vulcano
attivo/quiescente.
Convenzionalmente, vengono individuati come attivi i vulcani che
hanno manifestato attività nel corso dell’Olocene, cioè negli ultimi
10.000 anni (vedi ad esempio Simkin and Siebert, 1994). Diversi autori
sottolineano però come molti vulcani abbiano eruttato dopo periodi di
inattività superiori ai 10.000 anni e che quindi le considerazioni sulla
pericolosità vulcanica non possono essere limitate all’Olocene (vedi
IAEA, 2012; Connor et al., 2009). Secondo una più rigorosa definizione
si considerano attivi ma in uno stato di quiescenza i vulcani il cui
tempo di riposo attuale è inferiore al più lungo periodo di riposo
registrato in precedenza. Definizione sicuramente più precisa, ripresa
anche sul sito della Protezione Civile, ma che richiede una accurata
conoscenza della storia eruttiva di ogni vulcano. Nonostante le
informazioni in proposito siano, in modo riconosciuto, tra le più
dettagliate al mondo, è probabile che esistano ancora delle
significative lacune conoscitive.
Oltre alla definizione dello stato di attività sarebbe fondamentale
fornire i criteri per individuare l’area che può essere interessata da
manifestazioni vulcaniche in grado di arrecare seri danni al sito che in
tal caso verrebbe escluso. Ovviamente, tale area varia in funzione del
tipo e dell’intensità del fenomeno vulcanico preso in considerazione: è
necessario quindi in ogni caso riferirsi ad un’eruzione specifica.
Considerando che è necessario ragionare sul lungo periodo, l’eruzione di
riferimento deve essere la massima registrata nel record geologico o
quella attualmente ritenuta la massima attesa? C’è forse qualche
vulcanologo che si senta in grado di affermare con certezza che
nell’arco di “un periodo di tempo dell’ordine di alcune centinaia di anni” non
si possa verificare un’eruzione catastrofica nelle aree vulcaniche
italiane? I prodotti di una simile eruzione potrebbero arrecare danni ad
impianti distanti molte decine di chilometri dal centro eruttivo. Non
si tratta quindi solo di escludere, come fa la GT, le aree
caratterizzate dalla presenza di “apparati vulcanici attivi o
quiescenti”, ma di compiere valutazioni più ampie e sistematiche delle
diverse cause di rischio per l’opera da realizzare.
In conclusione, quindi, sarebbe stato forse preferibile un approccio
più pragmatico, escludendo tutte le aree italiane dove sono presenti
vulcani con manifestazioni significative in tempi storici e rimandando
alla fase di approfondimento la valutazione, anche in termini di
ampiezza, delle altre aree interessate da vulcanesimo più o meno
recente. In altre parole, si potrebbero escludere, in prima analisi, le
aree interessate da piani di emergenza per il rischio vulcanico e quelle
interessate da colate laviche o da flussi piroclastici significativi in
tempi storici se non hanno piani di emergenza, per poi seguire, per
tutte le aree vulcaniche italiane, l’approccio indicato dalla IAEA, in
particolare nella guida IAEA SSG-21 : Volcanic Hazards in Site Evaluation for Nuclear Installations. Specific Safety Guide. Vienna 2012 (tenendo conto che i vulcani “quiescenti” sono in parte assimilabili a quelli capable secondo tale documento IAEA), dove per definire il rischio vulcanico in un sito viene indicato lo schema qui sotto riportato.
Figura 1. Approccio metodologico per la valutazione del rischio vulcanico(modificato da IAEA SSG-21(2012)
Nel documento IAEA, è chiaramente espresso che, se un certo sito è
essere interessato da un fenomeno (sia esso proveniente da un vulcano
attivo o quiescente) tra quelli elencati nella tabella sotto, esso deve
essere valutato in termini di rischio vulcanico. Ad esempio, è
necessario valutare anche se nel nostro sito possa cadere una certa
quantità di piroclastiti provenienti da un apparato vulcanico più o meno
vicino.
Tabella 1. Fenomeni vulcanici potenzialmente avversi alle installazioni nucleari
Fenomeni |
Caratteristiche potenzialmente avverse per installazioni nucleari |
Viene considerata una condizione di esclusione allo stadio di selezione del sito? |
Sono possibili effetti di mitigazione per mezzo di misure su disegno e sulle condizioni operative? |
1. Tephra fallout |
Carichi fisici stabili statici, particelle abrasive corrosive nell’aria e nell’acqua |
no
|
Si
|
2. Correnti di densità piroclastica: flussi piroclastici, surges e esplosioni |
Carichi fisici dinamici, sovrappressioni atmosferiche, impatti di
proiettili, temperature maggiori di 300 centigradi, particelle abrasive,
gas tossici |
si
|
No
|
3. Flussi di lava |
Carichi fisici dinamici, fenomeni alluvionali e di eccesso di acqua, temperatura maggiore di 700 centigradi, |
si
|
No
|
4. Materiale di valanghe, frane e frane di pendio |
Carichi fisici dinamici, sovrapposizioni atmosferiche, impatti di proiettili, alluvioni e eccessi d’acque |
si
|
No
|
5. Flusso di detriti vulcanici, lahars e alluvioni |
Carichi fisici dinamici, alluvioni e eccessi d’acqua, particolato sospeso in acqua |
si
|
Si
|
6. Apertura di nuove bocche |
Carichi fisici dinamici, deformazione del suolo, terremoti vulcanici |
si
|
No
|
7. Missili generati da vulcani |
Impatti di particelle, carichi fisici statici particelle abrasive in acqua |
si
|
Si
|
8. Gas vulcanici e areosol |
Gas tossici e corrosivi, pioggia acida, laghi caricati di gas, contaminazione dell’acqua |
no
|
Si
|
9. Tsunami, spighe, rottura di laghi craterici ed esplosioni glaciali |
Inondazioni di acqua |
si
|
Si
|
10. Fenomeni atmosferici |
Sovrapposizioni dinamiche, scarichi di fulmini, venti provenienti dall’esplosione |
no
|
Si
|
11. Deformazione del terreno |
Movimenti del terreno, subsidenza o sollevamento, piegamento del terreno, frane |
si
|
No
|
12. Terremoti vulcanici e rischi collegati |
Terremoti continui, shocks multipli, in genere terremoti di magnitudo M<5 |
no
|
Si
|
13. Sistemi idrotermali e anomalie della tavola d’acqua |
Acque termali, acque corrosive, contaminazione dell’acqua,
inondazioni o risalita dell’acqua, alterazioni idrotermali, frane,
modificazione del karst e del thermokarst, cambiamenti improvvisi nella
pressione idraulica |
si
|
Si
|
Nota: quando appaiono due si nelle due colonne, è l’entità del fenomeno ad essere rilevante.
Nella tabella sono indicati i fenomeni vulcanici e le caratteristiche
associate che potrebbero avere effetto sulle installazioni nucleari con
implicazioni per la selezione del sito e per la valutazione del
progetto. Per ogni tipo di manifestazione vulcanica che possa
interessare il sito, devono essere fissati dei criteri, deterministici
e/o probabilistici. Tali criteri non possono essere tarati sull’eruzione
massima attesa nel breve periodo (ad esempio, quella del 1631 per il
Vesuvio) ma su quella più probabile nell’arco di molte centinaia di
anni, che può essere anche sostanzialmente diversa.
L’approccio qui delineato, raccomandato dalla IAEA, ha basi
dottrinali molto consistenti (si veda in particolare Connor et al.,
2009, e Simkin and Siebert, 1994). Quello utilizzato dalla GT dell’ISPRA
non appare invece chiaramente definito. Si suggerisce quindi che,
almeno nella fase di approfondimento, i criteri di verifica siano
espressamente indicati.
Connor C.B., Chapman N.A., and Connor L.J (2009). Volcanic and Tectonic Hazard Assessment for Nuclear Facilities. Cambridge University Press.
IAEA (2012) - SSG-21: Volcanic Hazards in Site Evaluation for Nuclear Installations. Specific Safety Guide. Vienna 2012.
Simkin, T. & Siebert, L. (1994). Volcanoes of the World, 2nd ed. Tucson: Geoscience Press for the Smithsonian Institution.
Un discorso più semplice ma sicuramente più importante riguarda il secondo criterio. Il criterio CE2: aree contrassegnate da sismicità elevata che recita:
Sono quelle aree contrassegnate da un valore previsto di picco di
accelerazione (PGA) al substrato rigido, per un tempo di ritorno di
2475 anni, pari o superiore a 0,25 g, secondo le vigenti Norme Tecniche
per le Costruzioni, in quanto in tali aree le successive analisi
sismiche di sito potrebbero evidenziare condizioni in grado di
compromettere la sicurezza del deposito nelle fasi di caricamento e,
dopo la chiusura, per tutto il periodo di controllo istituzionale.
Questo testo è chiaramente di derivazione del Dipartimento Nazionale
della Protezione Civile. Si ritiene però che per un deposito di scorie
nucleari non possa essere fissato tout court un limite quale quello
indicato dalla Protezione Civile, ma che ci si debba riferire al
terremoto massimo potenzialmente possibile in quel sito (in genere, per
gli addetti ai lavori esso è quello con periodo di ritorno
deci-millenario) nell’attuale regime tettonico calcolato come suggerito
nella IAEA SSG-9: Seismic Hazards in Site Evaluation for Nuclear Installations, Vienna, 2010, per tutti gli altri impianti di tipo nucleare).
Il calcolo del terremoto con periodo di ritorno di2475 anni è una
estrapolazione statistica di dati per lo più di sismicità storica e
strumentale e poco si presta ad essere preso a riferimento per
garantire, anche per la percezione del più vasto pubblico, che il sito è
sicuro a fronte del terremoto. Fissare inoltre un criterio di
esclusione sulla base di una determinata accelerazione del suolo è
ormai quasi del tutto superato, sia per la localizzazione degli
impianti nucleari, sia, più in generale, per altre strutture. In tutto
il mondo si progettano impianti anche molto più complessi di un deposito
per scorie nucleari (ad es. impianti ad alto rischio, grattacieli in
zone costiere e quindi con terreni di fondazione del tutto scadenti) con
accelerazioni al suolo ben maggiori di 0.25 g. Si tratta infatti solo
di una questione di ingegneria, peraltro non molto complicata.
Per chiarire cosa possa comportare una scelta quale quella
effettuata nella GT ISPRA, si ricorda che l’aumentato numero di
registrazioni accelerometriche disponibili a livello mondiale ha
ampiamente dimostrato che i valori di riferimento di accelerazione del
suolo alle varie magnitudo del terremoto atteso erano nei tempi passati
altamente sottostimate. In particolare, è risultato che accelerazioni
quale quella di 0,25 g presa a riferimento nella GT di ISPRA sono
possibili nelle aree epicentrali di Magnitudo (Mw) intorno a 5 (vale a
dire un’intensità macrosismica MM o MSK o MCS, intorno all’VIII grado).
E’ d’altronde noto che non è possibile escludere che un terremoto di
tale magnitudo possa avvenire dappertutto anche in Italia in quanto non
si hanno a tutt’oggi elementi scientifici e tecnologici discriminativi
come esistono invece, espletando studi adeguati, per terremoti di
Magnitudo maggiore di 5. Quindi cautelativamente si assume che un
terremoto di Magnitudo 5 possa accadere ovunque, anche sotto il sito
nucleare di nostro interesse. Pertanto, a fronte di un criterio di
esclusione di quel tipo potrà essere sempre possibile dimostrare che il
sito scelto non è idoneo, né si ritiene, per quanto sopra detto, che un
valore discriminante nella selezione di un sito nucleare possa essere
attribuito alla determinazione di periodo di ritorno di 2475 anni. Si
suggerisce quindi di togliere questo criterio di esclusione e rimandare
il calcolo del terremoto di progetto del deposito a quanto richiesto
dalla guida IAEA sopra indicata. Paradossalmente sarebbe il caso di
imporre 0.25 g come limite minimo della progettazione del deposito.
Si auspica che quanto sopra risulti utile anche al fine di poter
utilizzare il deposito per lo stoccaggio di rifiuti ad alta attività e
lunga vita.
Il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi. La procedura e i criteri per l’individuazione delle aree potenzialmente idonee.
Ne parliamo il 3 gennaio 2015 nella sede di ScanZiamo le Scorie a Scanzano J.co (MT).
Siete tutti invitati a partecipare....
“Nucleare, pasticcio che grava sulle imprese. Governo intervenga su Sogin”
Un balletto di cifre che comporta ritardi e costi per i
consumatori. E che potrebbe costare il posto all’amministratore delegato
della Sogin, Riccardo Casale. Al termine di un’audizione informale che
si è conclusa con un atto formale. Una lettera che tredici senatori della commissione Industria
di Palazzo Madama hanno indirizzato ai ministri dell’Economia e dello
Sviluppo economico per segnalare «la loro preoccupazione per la
situazione» della Società gestione impianti nucleari, interamente controllata dallo Stato, responsabile dello smantellamento delle vecchie centrali dismesse (il cosiddetto decommissioning) e del trattamento e messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi. Ma, soprattutto, per chiedere al governo di prendere «rapide e incisive iniziative» per assicurare «una gestione in grado di recuperare i ritardi, altrimenti onerosi per i consumatori,
e di attuare gli obiettivi industriali nei tempi previsti». Una
bocciatura, in buona sostanza, dell’operato di Casale sfiduciato di
fatto dagli autori della missiva.
Dal Fatto Quotidiano.
I RILIEVI DELLA COMMISSIONE – Nel mirino della commissione Industria sono finiti i «ritardi, inattesi e gravi, nell’attuazione del piano quadriennale di attività 2014-2017» della Sogin, chiarisce la lettera che Ilfattoquotidiano.it pubblica in esclusiva, emersi durante le audizioni «sulle strategie dei nuovi vertici delle principali società direttamente o indirettamente controllate dallo Stato». A non convincere gli autori della missiva trasversale (tra i quali il presidente della commissione Massimo Mucchetti del Pd, primo firmatario, e i due vice presidenti Paola Pelino di FI e Nunziante Consiglio della Lega), il «doppio ridimensionamento del piano quadriennale varato dalla gestione precedente nel giugno 2013» che l’11 novembre Casale ha presentato «come un piano elettorale eccessivamente ambizioso, benché fosse stato a suo tempo approvato dal governo». Così, nel dicembre 2013, arriva la prima rimodulazione firmata Casale che «comporta un taglio di circa 130 milioni di euro alle attività di decommissioning». La seconda, invece, nell’ottobre 2014, quando l’ad di Sogin ha portato in cda un’ulteriore riduzione di altri 120 milioni per il solo triennio 2015-2017. Risultato: «La riduzione di attività di decommissioning sul quadriennio 2014-2017 ammonta a ben 250 milioni di euro».
GLI EFFETTI SUL DECOMMISSIONING
– Una situazione che «suscita allarme» tra i componenti della
commissione Industria del Senato. Non solo perché le nuove cifre fornite
da Casale «contrastano radicalmente con il quadro ottimistico tracciato
in precedenza dall’amministratore delegato» che «ancora ai primi di
agosto 2014, annunciava l’accelerazione marcata delle attività di
decommissioning». Ma anche perché, sottolineano i tredici senatori, «lo
stato di avanzamento dei progetti pluriennali come quelli tipici della
Sogin va monitorato con tempestività per evitare che le criticità,
sempre possibili, si cristallizzino con il duplice effetto negativo di
generare oneri ulteriori e imprevisti e di rallentare l’esecuzione delle
opere». Proprio quello che si starebbe verificando in casa Sogin.
Mucchetti e gli altri senatori lo denunciano: il piano revisionato
comporterà «un potenziale ritardo di 14 mesi nel completamento del decommissioning» con un costo aggiuntivo «di circa 150 milioni che viene automaticamente scaricato sulla bolletta elettrica delle piccole e medie imprese che il governo ha promosso con il decreto competitività».
TENSIONI NUCLEARI – Insomma,
un disastro. Che, nella cronaca delle recenti vicende sul nucleare non è
isolato. Solo qualche settimana fa, infatti, un’altra polemica era
scoppiata a causa della nomina di Antonio Agostini a presidente dell’Isin, l’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione,
sul cui nome, proposto dal ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti,
erano stati sollevati non pochi dubbi da diversi componenti delle
commissioni competenti di Camera e Senato che ne avevano messo in
discussione i requisiti professionali richiesti dall’incarico. Gli echi
della querelle non si erano ancora spenti che il caso del piano della
Sogin accende una nuova polemica sul delicato tema del nucleare. E
ancora una volta il Parlamento arriva prima del governo.
Twitter: @Antonio Pitoni
Svezia: raddoppia la tassa sui rifiuti per gli operatori del nucleare
Pubblicato da www.rinnovabili.it
L’industria nucleare svedese dovrà pagare 0,04 corone per chilowattora negli anni 2015-2017, rispetto alle 0,022 corone di oggi.
La storia del nucleare svedese
ha affrontato alti e bassi. Nonostante il paese si sia impegnato
formalmente a incrementare la quota rinnovabile nel suo mix energetico
al 50% entro la fine di questo decennio, l’energia dell’atomo non sembra
un‘opzione a cui Stoccolma intenda rinunciare facilmente Secondo il
risultato del referendum del lontano 1980, tutte le centrali nucleari svedesi avrebbero dovuto essere chiuse entro il 2010,
ma ad oggi la situazione è pressoché rimasta inalterata e solo due
impianti sono stati dismessi. In questo contesto di quasi assoluto
immobilismo le scorie radioattive costituiscono un problema non da poco,
soprattutto visto i lati deboli mostrati dal nuovo piano rifiuti della
Nazione. Ecco perché il governo svedese ha deciso di raddoppiare le tasse a carico degli operatori delle centrali e canalizzare i proventi nel fondo scorie nucleari, al fine di supportare l’aumento dei costi di smantellamento.
Avevamo riportato la notizia, quando era ancora un’ipotesi, all’inizio di ottobre,
data in cui il partito ambientalista aveva avanzato la proposta. Forti
del nuovo consenso ottenuti i Verdi svedesi sono infatti pronti – nuove
elezioni permettendo – a rilanciare un forte programma di
decommissionig, fatto norme di sicurezza più stringenti e fiscalità più
incisiva. Cosa significherebbe tutto ciò nella pratica? Che l’industria
“atomica” svedese dovrà pagare 0,04 corone (0,42 euro) per chilowattora negli anni 2015-2017, rispetto alle 0,022 corone di oggi. “L’energia
nucleare deve poter sostenere le proprie spese e la decisione del
governo di aumentare la quota sui rifiuti nucleari lo renderà possibile”, ha spiegato il ministro svedese dell’ambiente e dei cambiamenti climatici, Asa Romson.
Ricordiamo che ad oggi sul territorio l’energia nucleare è tassata,
sulla base della capacità di produzione del reattore, con circa 1200
euro per MW della potenza autorizzata mensilmente. L’industria ha
prontamente fatto sapere che una combinazione di aumento delle tasse e
dei costi aggiuntivi per le nuove misure di sicurezza potrebbe portare
alla precoce chiusura di vecchi impianti, e quindi a prezzi energetici
potenzialmente più elevati.
CHE FINE HANNO FATTO I POZZI DI SALGEMMA A TERZO CAVONE?
Articolo di FIlippo Mele dalla Gazzetta del Mezzogiorno
SCANZANO
J. ACCORDO TRA SORIM E PRIVATO RIACCENDE I RIFLETTORI SU UNA
QUESTIONE APERTA
LA
GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO 22.12.14
SCANZANO
JONICO – Un accordo tra la Sorim spa, titolare della concessione
per l'estrazione del salgemma dai depositi ad 800 metri di profondità
di Terzo Cavone, ed un agricoltore ha fatto tornare d'attualità il
“destino” del sito, già scelto nel 2003 dal Governo Berlusconi
come deposito delle scorie nucleari d'Italia. Uno spettro che qui
spesso ritorna. Ma andiamo con ordine. Davanti al tribunale di
Matera, giudice Raffaele Viglione, è stata raggiunta un'intesa tra
gli avvocati Francesco Luigi De Luca, difensore della Sorim, ed
Antonello Bonfantino, difensore degli eredi di Luigi Di Santo. Di
Santo aveva intimato 10 anni fa lo sfratto alla Sorim per un terreno
dato in fitto alla spa, nel 1999, perchè vi realizzasse uno dei 5
pozzi da cui estrarre la salamoia. Pozzo realizzato, come gli altri,
ma mai entrato in funzione. La storia è lunga. Fu nel 1999 che,
sindaco Mario Altieri, sembrava vicina l'estrazione del salgemma. Che
saltò per l'opposizione di un parlamentare lucano dell'epoca,
Domenico Izzo (Ppi – Ulivo), che fece lo sciopero della fame
davanti a Montecitorio: “Lo scopo del progetto non è imbustare il
sale ma creare caverne per immagazzinarvi rifiuti, anche nucleari”.
Il 9 settembre del '99 l’allora presidente della Regione, Angelo
Raffaele Dinardo, sospese i lavori di Terzo Cavone: “Manca la
valutazione di impatto ambientale”. Seguirono corsi e controricorsi
sino al 13 novembre 2003 quando sembrò che le accuse di Izzo erano
pronte a divenire realtà. Nelle caverne ricavate dopo aver estratto
il salgemma il Governo voleva immagazzinare le scorie radioattive del
Belpaese. Come finì è noto. La rivolta di Scanzano costrinse Silvio
Berlusconi a fare dietrofront. Qui, però, ancora rabbrividiscono
quando sentono parlare di deposito geologico. Ed a Milano, il 12
dicembre scorso, Fabio
Chiaravalli, della Sogin, la spa deputata ad individuare i siti
idonei ad ospitare il cimitero atomico, ha detto che “i 15mila mc
di scorie ad alta attività d'Italia dopo essere stati immagazzinati
nel deposito di superficie saranno poi conferiti in uno geologico che
verrà individuato in un Paese europeo”. Nel centro jonico nessuno
ha mai abbassato la guardia. “La mia ipotesi - ha concluso
Bonfantino, anche nella sua qualità di vicepresidente
dell'associazione ScanZiamo le scorie – è che Sorim, quanto meno,
abbia abbandonato le sue mire sul salgemma di Terzo Cavone”.
LO
RICORDA IL SINDACO
ORA
E' UN'AREA AGRICOLA E NON PIU' ESTRATTIVA
Sicurezza nucleare: interrogazione M5S, Ministeri vigilino su operato Sogin!
COMUNICATO
STAMPA - Gianni Girotto,
Capogruppo M5S - X Commissione Industria Senato
Roma, 19 dicembre 2015 - «Sulla delicata
gestione del decommissioning nucleare - già oggetto di interesse da parte della
magistratura – è necessario prestare la massima allerta. Ecco perché abbiamo presentato
l’ennesima interrogazione ai ministri delle Finanze e dello Sviluppo economico,
chiedendo di non abbassare la guardia e di vigilare attentamente sull’operato della Sogin,
che nelle prossime settimane presenterà la mappa delle aree idonee ad ospitare
il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi. Non possiamo permetterci il
ripetersi di gravi episodi come quello dell’appalto per la costruzione del
Cemex per la centrale atomica Eurex di Saluggia, su cui l’autorità nazionale anticorruzione ha chiesto il
commissariamento», dichiara il senatore a 5 Stelle Gianni Girotto.
«Su quella
vicenda – definita dagli organi di stampa la “Tangentopoli radioattiva” - attendiamo
da sette mesi una risposta da parte del ministro Galletti», ricorda l’esponente
grillino. «Ma il silenzio di chi deve controllare che tutto si svolga al meglio
ci preoccupa».
Sulla sicurezza
nucleare ci sono state finora troppe leggerezze, insiste Girotto. «È
indispensabile un cambio di passo e accelerare anche su una nomina credibile al
vertice dell’Isin, la nuova autorità di controllo».
La vecchia
proposta del Governo – ancora ferma al Cdm dopo le osservazioni del M5S – si è
rivelata sbagliata: Antonio Agostini, infatti, è una figura senza adeguate
competenze in materia e sotto inchiesta da parte della magistratura romana per
la gestione dei fondi europei quando era direttore del Miur.
«Pertanto –
conclude Girotto – è necessario avere delle risposte immediate. Si è già perso
troppo tempo, che ha un costo alto per i cittadini anche in termini di tutela
della salute pubblica».
IL DEPOSITO UNICO DELLE SCORIE CREA CURIOSITA' ED ALLARME
Articolo di FIlippo Mele dalla Gazzetta del Mezzogiorno
SCANZANO
JONICO. PER IL PRESIDENTE DELLA SOCIETA' GIUSEPPE ZOLLINO LE AREE
INDIVIDUATE SARANNO IN MOLTE REGIONI MA NON SI SA QUALE DI ESSA SARA'
PRESCELTA
LA
SOGIN DOVRà INDICARE DOVE SORGERA' IL SITO ENTRO IL 3 GENNAIO
LA
GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO 15.12.14
SCANZANO JONICO - Sprint finale della Sogin, la spa interamente pubblica incaricata dal Governo per l'individuazione delle aree potenzialmente idonee ad ospitare il deposito unico delle scorie d'italia. Entro il 3 gennaio prossimo la lista dovrà essere pronta. Così, ogni giorno che passa, la “curiosità” in merito si fa facendo sempre più spasmodica. Tanto che il presidente di Sogin, Giuseppe Zollino, parlando nel corso di un seminario inetrnazionale sulle attività di dismissione di siti e centrali nucaleri disattivate una spa pubblica deputata alla dismissione delle vecchie centrali e dei vecchi siti atomici, tra cui l’Itrec di Rotondella, svoltosi a Milano ha dichiarato: “Le aree individuate saranno molte in molte regioni. Ma non sappiamo ancora dove il deposito si farà”. Ci saranno anche aree della Basilicata tra quelle “segrete” di Zollino? Probabilmente, si. Anzi. Fu proprio la Gazzetta a pubblicare il 24 settembre del 2010 (citando una autorevolissima fonte istituzionale che volle mantenere l'anonimato) i sei comuni lucani, Matera, Montescaglioso, e Montalbano Jonico, in provincia di Matera, più Banzi, Palazzo San Gervasio, e Genzano di Lucania, in provincia di Potenza, in cui una parte del loro territorio era ritenuta idonea per la realizzazione del deposito unico delle scorie nucleari d’Italia. Il nostro giornale riportò la notizia con il beneficio di inventario stante il segreto che anche allora circondava la mappa con 52 località del Belpaese che la Sogin, deputata alla dismissione delle vecchie centrali e dei vecchi siti atomici, tra cui l’Itrec di Rotondella, aveva disegnato. Mappa di cui avevano parlato il giorno precedente due quotidiani nazionali scatenando il toto - deposito. E la Sogin, allora, né confermò nè smentì. Né per i siti di Basilicata né per i restanti d’Italia. Ma la mappa esisteva come “certificò” l'allora sottosegretario allo Sviluppo economico, Stefano Saglia: “La lista stilata dalla Sogin rappresenta un ottimo lavoro che farà da base di partenza per la decisione del Governo che però non arriverà nei prossimi giorni”. Decisione che non è arrivata nenache dopo più di quattro anni da quella data. Sarà cambianto qualcosa nella “mappa segerta” di Sogin? Chissà. Non resta cheattendere anche se, nels ettore nucelare, l'esperienza insegna che i “cronoprogrammi” sono fatti per essere ampiamente disattesi.
DA
SMALTIRE 90 MILA MC
“NOI
SPERIAMO ARRIVINO LE AUTOCANDIDATURE”
Deposito nazionale scorie, evitare un'altra Scanzano
Pubblicato da Basilicata24.it
Scarica l'interrogazione.
E’ necessario chiarire la procedura per la realizzazione del deposito
nazionale dei rifiuti nucleari se vogliamo evitare un’altra Scanzano.
L’allarme viene lanciato dal senatore Gianni Girotto, capogruppo M5S in X
commissione Industria, primo firmatario (insieme ad altri 19 senatori
grillini) di un’interrogazione rivolta al Governo sulla gestione e la
messa in sicurezza delle scorie radioattive per chiarire alcuni aspetti
sull’individuazione del deposito nazionale di rifiuti nucleari in
seguito alla pubblicazione dei criteri per l’individuazione delle aree
idonee. «Attorno al Deposito nazionale per lo smaltimento delle scorie
nucleari si sta costruendo una narrazione tossica, fatta di confusione e
non detti. Invitiamo il ministro dell’Ambiente e quello dello Sviluppo
economico a fare chiarezza sui veri obiettivi del Governo sul Deposito
nazionale dei rifiuti radioattivi. Il piatto è ricco e può fare gola a
molti; solo con la chiarezza e la trasparenza potremo evitare che dietro
la partita si nascondano interessi torbidi». Il decreto n. 31 del
febbraio 2010 parla di un Deposito nazionale destinato allo smaltimento
definitivo dei rifiuti radioattivi a bassa e media intensità, derivanti
da attività industriali e di ricerca medico-sanitarie, oltre che “dalla
pregressa gestione di impianti nucleari, e all’immagazzinamento, a
titolo provvisorio di lunga durata, dei rifiuti ad alta intensità e del
combustibile irraggiato”. Ma su quest’ultimo punto la Guida tecnica 29
dell’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca
ambientale) sembra imboccare una strada diversa, aprendo a dubbi ed
equivoci su quello che si voglia realmente fare. L’Ispra, infatti,
ipotizza la localizzazione di un impianto in superfice solo per lo
stoccaggio dei rifiuti a bassa e media attività radioattiva, mettendo da
parte quelli ad alta intensità. «È proprio questa indeterminatezza che
ci preoccupa. Sarà un unico deposito o ne sorgeranno altri per le scorie
più insidiose? E soprattutto, perché l’Ispra ignora queste ultime nella
Guida? Che altri obiettivi hanno in mente Renzi e i suoi uomini?»,
chiede il senatore grillino. «Se manca la dovuta chiarezza e
trasparenza, il processo per l’individuazione del deposito nazionale
rischia di trasformarsi in una Scanzano bis, come accadde durante il
Governo Berlusconi nel 2003. Enti locali e cittadini devono essere
informati per tempo e non a cose fatte. Decisioni di questo tipo non si
possono prendere solo nell’isolamento dei Palazzi». Infine il M5S chiede
al Governo di ritirare la nomina di Antonio Agostini da direttore
dell’Isin, il nuovo Istituto per la sicurezza nucleare e la
radioprotezione. «Ci eravamo opposti perché non ha le competenze
necessarie a gestire un simile processo. Ma adesso è anche indagato
dalla magistratura per “turbativa d’asta pubblica” i dubbi si sono
trasformati in certezze: Agostini va sostituito immediatamente».
Speriamo che questo grave errore di valutazione del Governo non
pregiudichi la funzionalità dell’attività dell’Isin affidando la sua
gestione ad un commissariamento ma spinga il Governo ad individuare le
competenze e le professionalità indicate dalle norme per garantire la
corretta gestione dei rifiuti nucleari, la sicurezza e la salute dei
cittadini. Gianni Girotto, Capogruppo M5S - X Commissione Industria Senato
Agostini alla direzione dell'ISIN? Una proposta inaccettabile!
Pubblicato da www.parlamento5stelle.it
Puoi guardare anche il video!
Nominare Direttore dell'Isin Antonio Agostini? Una proposta, quella del Consiglio dei ministri assolutamente inopportuna!
Crediamo, infatti, che l'Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e radioprotezione debba essere guidato da una figura di comprovata e documentata esperienza e professionalità ed elevata qualificazione e competenza nei settori della sicurezza nucleare, della radioprotezione, nonché di indiscussa indipendenza, così come richiesto dal D.lgs n. 45/2014 di attuazione della direttiva 2011/70/EURATOM, che istituisce un quadro comunitario per la gestione responsabile e sicura del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi.
Crediamo che il rapporto di fiducia e trasparenza tra cittadini e istituzioni sia un valore non negoziabile ed essenziale per proseguire in sicurezza il processo di decommissioning nucleare.
L'Isin svolgerà le funzioni e i compiti di autorità nazionale per la regolamentazione tecnica, si occuperà di espletare i processi autorizzativi, le valutazioni tecniche, il controllo e la vigilanza delle procedure connesse allo smantellamento delle installazioni nucleari non più in esercizio e in disattivazione, dei reattori di ricerca, degli impianti e delle attività connesse alla gestione dei rifiuti radioattivi e del combustibile nucleare esaurito, delle materie nucleari, della protezione fisica passiva delle materie radioattive, emanando altresì le certificazioni previste dalla normativa vigente in tema di trasporto di materie radioattive stesse.
Ecco perché solleviamo dubbi sull'incompatibilità dell'attuale proposta di nomina a Direttore dell'Isin. Questa modalità ci rende perplessi su come si voglia continuare ad affrontare il problema della sicurezza nucleare.
Infine stigmatizziamo fortemente come l'audizione del candidato, richiesta dalla X Commissione, si svolga a porte chiuse e senza pubblicità; ci si nasconde dietro la foglia di fico della tutela della privacy, "dimenticandosi" che in tale audizione non si parleranno degli affari privati del candidato, ma di ciò che è necessario valutare per la sua nomina come funzionario PUBBLICO, e pertanto tutto il procedimento relativo dovrebbe essere aperto e trasparente.
Nucleare, pressing sul ministro Galletti. Pd: “Sospendere nomina di Agostini”
Dal Fatto Quotidiano.it
La nomina di Antonio Agostini a capo dell’Ispettorato per la sicurezza nucleare è in bilico. Poche ore dopo la diffusione della notizia delle indagini della Procura di Roma sull’attuale segretario generale del ministero dell’ambiente, il ministro Gianluca Galletti valuta diverse ipotesi – secondo quanto riferito alle agenzie – e non esclude il ritiro della nomina. Agostini è indagato per turbativa d’asta e abuso d’ufficio in un’inchiesta – arrivata a conclusione oggi – del pm Felici sulla gestione dei fondi per la ricerca all’interno del Miur. Sulla stessa vicenda stanno lavorando gli investigatori dell’ufficio antifrode di Bruxelles e la procura della Corte dei conti, che, nei mesi scorsi, ha già ascoltato alcuni funzionari del Miur.
Al centro dell’inchiesta sono finiti due bandi finanziati dai fondi comunitari: quello per la ricerca industriale e quello per il potenziamento della ricerca. Secondo l’accusa della procura, Agostini – che all’epoca dei fatti occupava il posto di direttore generale – avrebbe fatto erogare fondi ad enti nominando una commissione di esperti che facevano parte del suo entourage. Il valore delle erogazioni contestate, al momento, supera i 320 milioni di euro. Tra i promotori di progetti finiti sotto la lente della Procura vi sarebbero anche soggetti vicini all’ex ministro Maria Stella Gelmini. I fatti contestati si riferiscono al 2011, quando i valutatori del ministero dell’istruzione della ricerca avviarono la selezione dei progetti. Per la procura Agostini avrebbe esercitato pressioni al fine di soprassedere su alcuni requisiti previsti dalla legge, come, ad esempio, la solidità economica delle aziende beneficiarie. L’inchiesta romana prosegue, puntando a chiarire come siano stati utilizzati i soldi erogati nell’ambito dei due bandi gestiti da Antonio Agostini. Oltre ad Agostini l’inchiesta ha coinvolto l’autorità di gestione dei progetti in mano a Fabrizio Cobis, dirigente dell’ufficio settimo, che è accusato del suolo abuso di ufficio per i bandi del secondo avviso.
Intanto l’ufficializzazione dell’indagine a carico sta avendo effetti sulla nomina di Agostini all’Isin, l’agenzia che dovrà occuparsi del post-nucleare italiano. Se il ministro Galletti che l’ha avanzata ne sta valutando il ritiro, dallo stesso Pd che l’ha votata in Parlamento arrivano chiari segnali di ripensamento. “A seguito della notizia dell’avviso di chiusura indagini che potrebbe preludere a una richiesta di rinvio a giudizio, invitiamo i ministri competenti dell’Ambiente, Gian Luca Galletti, e dello Sviluppo Economico, Federica Guidi, a sospendere la nomina di Agostini alla direzione dell’Isin ai fini di valutarne l’opportunità alla luce dei necessari chiarimenti”, questo quanto dichiarano congiuntamente Ermete Realacci e Guglielmo Epifani, presidenti della VIII Commissione Ambiente e della X Commissione Attività Produttive della Camera.
Più duri gli oppositori della prima ora alla nomina che ora vanno all’attacco frontale di chi la proposta chiedendo le dimissioni del ministro. “In Commissione Ambiente abbiamo in tutti i modi cercato di far capire che era la persona meno adatta – sottolinea Mirko Busto, deputato del M5S in Commissione Ambiente – Nel suo curriculum non c’è traccia di competenza in campo nucleare e già durante la discussione era emerso che c’era un fascicolo aperto su di lui e l’amministrazione dello Stato ne era a conoscenza. Adesso il ministro dell’Ambiente, che ha insistito nel volerlo, sta valutando la revoca della nomina? Per noi l’unica cosa che dovrebbe valutare sono le proprie dimissioni per manifesta inadeguatezza nelle valutazioni”. Un segnale del governo in questo senso dovrà arrivare a breve, visto che il decreto di nomina dovrà essere convalidato in Cdm dopo il parere favorevole delle commissioni parlamentari e poi trasmesso al Quirinale per la controfirma.
La nomina di Antonio Agostini a capo dell’Ispettorato per la sicurezza nucleare è in bilico. Poche ore dopo la diffusione della notizia delle indagini della Procura di Roma sull’attuale segretario generale del ministero dell’ambiente, il ministro Gianluca Galletti valuta diverse ipotesi – secondo quanto riferito alle agenzie – e non esclude il ritiro della nomina. Agostini è indagato per turbativa d’asta e abuso d’ufficio in un’inchiesta – arrivata a conclusione oggi – del pm Felici sulla gestione dei fondi per la ricerca all’interno del Miur. Sulla stessa vicenda stanno lavorando gli investigatori dell’ufficio antifrode di Bruxelles e la procura della Corte dei conti, che, nei mesi scorsi, ha già ascoltato alcuni funzionari del Miur.
Al centro dell’inchiesta sono finiti due bandi finanziati dai fondi comunitari: quello per la ricerca industriale e quello per il potenziamento della ricerca. Secondo l’accusa della procura, Agostini – che all’epoca dei fatti occupava il posto di direttore generale – avrebbe fatto erogare fondi ad enti nominando una commissione di esperti che facevano parte del suo entourage. Il valore delle erogazioni contestate, al momento, supera i 320 milioni di euro. Tra i promotori di progetti finiti sotto la lente della Procura vi sarebbero anche soggetti vicini all’ex ministro Maria Stella Gelmini. I fatti contestati si riferiscono al 2011, quando i valutatori del ministero dell’istruzione della ricerca avviarono la selezione dei progetti. Per la procura Agostini avrebbe esercitato pressioni al fine di soprassedere su alcuni requisiti previsti dalla legge, come, ad esempio, la solidità economica delle aziende beneficiarie. L’inchiesta romana prosegue, puntando a chiarire come siano stati utilizzati i soldi erogati nell’ambito dei due bandi gestiti da Antonio Agostini. Oltre ad Agostini l’inchiesta ha coinvolto l’autorità di gestione dei progetti in mano a Fabrizio Cobis, dirigente dell’ufficio settimo, che è accusato del suolo abuso di ufficio per i bandi del secondo avviso.
Intanto l’ufficializzazione dell’indagine a carico sta avendo effetti sulla nomina di Agostini all’Isin, l’agenzia che dovrà occuparsi del post-nucleare italiano. Se il ministro Galletti che l’ha avanzata ne sta valutando il ritiro, dallo stesso Pd che l’ha votata in Parlamento arrivano chiari segnali di ripensamento. “A seguito della notizia dell’avviso di chiusura indagini che potrebbe preludere a una richiesta di rinvio a giudizio, invitiamo i ministri competenti dell’Ambiente, Gian Luca Galletti, e dello Sviluppo Economico, Federica Guidi, a sospendere la nomina di Agostini alla direzione dell’Isin ai fini di valutarne l’opportunità alla luce dei necessari chiarimenti”, questo quanto dichiarano congiuntamente Ermete Realacci e Guglielmo Epifani, presidenti della VIII Commissione Ambiente e della X Commissione Attività Produttive della Camera.
Più duri gli oppositori della prima ora alla nomina che ora vanno all’attacco frontale di chi la proposta chiedendo le dimissioni del ministro. “In Commissione Ambiente abbiamo in tutti i modi cercato di far capire che era la persona meno adatta – sottolinea Mirko Busto, deputato del M5S in Commissione Ambiente – Nel suo curriculum non c’è traccia di competenza in campo nucleare e già durante la discussione era emerso che c’era un fascicolo aperto su di lui e l’amministrazione dello Stato ne era a conoscenza. Adesso il ministro dell’Ambiente, che ha insistito nel volerlo, sta valutando la revoca della nomina? Per noi l’unica cosa che dovrebbe valutare sono le proprie dimissioni per manifesta inadeguatezza nelle valutazioni”. Un segnale del governo in questo senso dovrà arrivare a breve, visto che il decreto di nomina dovrà essere convalidato in Cdm dopo il parere favorevole delle commissioni parlamentari e poi trasmesso al Quirinale per la controfirma.
COMUNICATO STAMPA
13/27 novembre - XI anniversario della protesta di Scanzano: l'agguato e dietro l’angolo ed è bene parlarne
Scanzano J.co (MT), 12 novembre 2014 - Sono passati 11 anni dalla
protesta contro il decreto che designava Terzo Cavone in Scanzano come sito
unico per il deposito dei rifiuti nucleari ma l’attenzione e la voglia di
ricordare non si sono affievoliti, anzi.
In questi anni non è cambiato
nulla: nessun progresso, nessuna ricerca fondata e soprattutto nessuna
informazione. Per l'individuazione del futuro deposito di scorie nucleari siamo
indietro rispetto alla tabella di marcia; solo pochi mesi fa abbiamo avuto
l’onore di poter vedere la fantomatica guida tecnica 29 ( un nome che ricorda
film sugli alieni) che dovrebbe dare il la all’individuazione del sito idoneo a
diventare deposito; solo un mese fa abbiamo conosciuto il nome (ma sarebbe
stato meglio non conoscerlo) del futuro direttore dell’ISIN che non conosce
nulla di radioprotezione, nucleare ecc. ma secondo voci (da verificare)
conoscerebbe bene la materia dell’occultamento dei fondi pubblici.
Ecco perché ScanZiamo le scorie
non abbassa la guardia e continua a celebrare questo anniversario. Tra le
iniziative segnaliamo l'evento del 20 novembre - ore 18:00 sul'"La messa
in sicurezza dei centri nucleari. A distanza di 11 anni dalla protesta di
Scanzano cosa è stato fatto e cosa serve ancora?" che si terrà nella sala
consiliare del Comune di Scanzano J.co. L'incontro, alla quale parteciperà
anche il Professor Massimo Scalia, vuole essere un confronto aperto tra le
Istituzioni del territorio, le Associazioni e i cittadini per fare un punto
sulla messa in sicurezza dei lasciti nucleari e l'individuazione del deposito
di scorie.
Il 21 novembre, presso il Liceo
scientifico E. Fermi di Policoro, si svolgerà un secondo appuntamento
dell'anniversario con gli studenti per parlare di "Energia e Cambiamento
climatico". L’agguato e dietro l’angolo ed è bene parlarne.
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