Nucleare, relazione della Commissione Ecomafie: dalla Sogin all'Isin


La commissione d'inchiesta sui rifiuti ha approvato la relazione sui rifiuti radioattivi in Italia e sulle attivita' connesse, che ora dovra' essere trasmessa alle Camere per essere discussa.
Gia' nella scorsa legislatura la commissione d'inchiesta aveva prodotto una relazione sul tema. Dunque quest'ultima si presenta come un aggiornamento alla passata relazione, anche alla luce delle ultime novita' riguardanti il Deposito nazionale per i rifiuti radioattivi. Al centro della relazione, in particolare, l'operato della Sogin (la societa' incaricata del decommissioning degli impianti nucleari), la questione Isin (l'Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione) e il caso Cemerad. 'Con l'avvio della procedura per la localizzazione del Deposito nazionale, le attivita' di gestione dei rifiuti radioattivi prodotti in Italia sono entrate in una fase importante e molto delicata - si legge nelle conclusioni alla relazione - L'opera e' progettata per essere risolutiva, ma il percorso per la sua realizzazione non sara' agevole e sara' anzi necessario superare notevoli difficolta', a cominciare da eventuali e prevedibili opposizioni in ambito locale, pur se gli standard con i quali il deposito dovra' essere realizzato sono tali da garantire livelli di sicurezza elevatissimi'. La commissione presieduta da Alessandro Bratti, tuttavia, evidenzia come 'i due principali soggetti tecnici si trovino invece in situazioni non semplici e delicate'.
(Public Policy)

Scorie cercano casa

Di Elisa Cozzarini dalla Nuova Ecologia 

Nelle prossime settimane sarà pubblica la lista dei siti idonei a ospitare il deposito nazionale per i rifiuti radioattivi. La Sogin ha lanciato una campagna per sensibilizzare i cittadini sull’opera. Basterà?


A ventotto anni dal referendum che ha messo fine all’era nucleare in Italia, il problema delle scorie radioattive non è stato ancora risolto. Oggi il governo dichiara per l’ennesima volta di voler trovare una soluzione. Ma prima di tutto bisogna individuare il luogo dove costruire il deposito nazionale. Sarà un percorso lungo, che prevede una consultazione pubblica impopolare e siamo già in ritardo sulla tabella di marcia. Il 20 agosto infatti è slittata di nuovo la pubblicazione della Cnapi, la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee. I rifiuti saranno circa 90mila metri cubi, di cui il 60% derivanti dalle operazioni di smantellamento degli impianti nucleari e il 40% dalle attività di medicina e industriali, che si continueranno a produrre anche in futuro. Con il deposito, è prevista anche la realizzazione di un parco tecnologico, che dovrebbe diventare un centro di ricerca d’avanguardia.
«Il sito doveva essere operativo già nel 2008, invece siamo ancora al punto che non si sa dove verrà realizzato. Intanto a Saluggia si stanno costruendo due nuovi grandi depositi definiti “temporanei”. Temiamo che questo significhi che in verità le scorie rimarranno qui per sempre», afferma Gian Piero Godio, di Legambiente del Vercellese, sottolineando: «Di fatto il deposito nazionale esiste già, ed è in Piemonte, a Saluggia, nel luogo più inidoneo». Questa regione ospita oltre i due terzi dei rifiuti radioattivi esistenti in Italia e il 93% del totale dei materiali radioattivi.
Il centro Eurex di Saluggia si trova sulle rive della Dora Baltea, il maggiore affluente del Po, a monte dei pozzi di prelievo del più grande acquedotto del Piemonte, proprio sopra alla falda che li alimenta. Durante l’alluvione del 2000, il premio Nobel della Fisica Carlo Rubbia parlò di «catastrofe planetaria sfiorata». Se le scorie liquide fossero state portate via dal fiume in piena, gli effetti sarebbero stati devastanti per la Pianura Padana e l’Adriatico. Sulla vicenda è stato realizzato anche un documentario, “Là suta”, che in piemontese significa là sotto. Quella di Saluggia, per gli autori, è una storia locale e allo stesso tempo emblematica della difficoltà di gestire le scorie nucleari.
Nonostante l’allarme lanciato da Rubbia, i rifiuti liquidi ad alta attività sono ancora lì dov’erano. È in costruzione l’impianto Cemex per solidificarli ed è previsto un deposito per stoccarli alla fine del condizionamento. «Siamo d’accordo sulla cementazione delle scorie, ma poi devono essere trasferite subito nel deposito unico: se davvero si intende realizzarlo, non ha senso fare anche i nuovi mega-depositi locali», commenta Godio. Sogin, la società pubblica responsabile per la sicurezza e lo smantellamento degli impianti nucleari italiani, assicura che i lavori inizieranno nel 2020, in quattro anni il deposito sarà pronto e nel 2035 si concluderà il piano di smantellamento, al costo complessivo di 6,5 miliardi di euro. Sogin ha lanciato una campagna mediatica massiccia, che terminerà a novembre e costerà 3,2 milioni di euro, per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza di quest’opera per la sicurezza nazionale, con un sito web, depositonazionale.it, ricco d’informazioni, video e numeri.
scorie
Ma basterà quest’operazione di trasparenza a rassicurare la popolazione e far accettare la costruzione del deposito sotto casa propria? In Sardegna le proteste sono già cominciate. Il ministro dell’Ambiente Galletti ha affermato che l’area non è stata ancora scelta e «una decisione del genere non può essere assunta “nelle segrete stanze” e imposta d’imperio ai territori e alle comunità». La Cnapi è stata elaborata da Sogin sulla base delle linee guida stabilite dall’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale. Il nulla osta alla sua pubblicazione da parte dei ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo sarà il momento d’avvio di un processo di consultazione pubblica, con un Seminario nazionale entro 120 giorni e poi la pubblicazione di una nuova Carta delle aree idonee, tra cui verrà scelto il sito definitivo anche in base ad autocandidature dei territori.
«Noi ci opporremo all’eventualità che si faccia in Basilicata, non possiamo fidarci di Sogin, per come ha operato finora. Manca il programma nazionale per la gestione delle scorie previsto in base alle norme europee e l’autorità di controllo, Isin, non è ancora operativa. Fa le sue veci Ispra, che però è sotto organico», afferma Pasquale Stigliani, del comitato Scanziamo le scorie. A Scanzano Ionico è vivo il ricordo dell’affronto subito nel 2003, quando il governo Berlusconi emanò di punto in bianco un decreto per la costruzione di un deposito geologico, senza alcun dialogo con i cittadini e senza neppure valutare che per una soluzione di quel tipo ci sarebbero voluti trent’anni, non cinque. Tutta la Basilicata si ribellò e subito il governo fece marcia indietro.
«Quell’operazione è servita solo a perdere tempo», afferma Massimo Scalia, fisico e storico leader ambientalista, tra i fondatori di Legambiente. E aggiunge: «Non contento, Berlusconi, con la proposta di ritorno al nucleare nel 2010, ha contribuito ancora a dilazionare i tempi, spostando l’attenzione dalla necessità di gestire le scorie all’ipotesi di costruire nuove centrali. Ora bisogna che il governo si decida a trovare una soluzione». Restano irrisolte, per Scalia, due grosse questioni: quella degli elementi che si trovano a Trisaia di Rotondella, in Basilicata, di combustibile irraggiato del ciclo uranio-torio, che non possono essere riprocessati perché non esistono al mondo impianti industriali per farlo. E l’altro problema è quello di Latina, con duemila tonnellate di grafite contaminata che risulterà dallo smantellamento.

Il corteo a Scanzano Jonico contro il deposito di scorie nucleari

«Questi elementi sono destinati all’area di stoccaggio temporaneo per i rifiuti ad alta e media attività», dichiara Lamberto Matteocci, responsabile del servizio controllo attività nucleari dell’Ispra, specificando: «Il deposito nazionale, di superficie e non geologico, sarà costituito da due impianti, uno per lo stoccaggio provvisorio dei rifiuti ad alta e media attività, in attesa che si trovi una collocazione definitiva possibilmente con un accordo internazionale, l’altro per lo smaltimento definitivo delle scorie che decadono dopo qualche centinaio di anni. All’estero sono diverse le esperienze di siti nazionali di smaltimento, per cui possiamo garantire la sicurezza dell’operazione». Questo vale per i rifiuti a bassa e media attività. Per le scorie più pericolose, solamente la Finlandia sta costruendo, a Onkalo, un deposito geologico che dovrebbe durare per tutto il tempo di decadimento, centomila anni, un’infinità.

Deposito rifiuti radioattivi, slitta il nulla osta alla lista dei siti idonei

Pubblicato da ADNKRONOS

Non riceverà il nulla osta per la pubblicazione entro il 20 agosto, come previsto, la Carta delle Aree Potenzialmente Idonee (Cnapi) a ospitare il Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi. E' quanto apprende l'Adnkronos da fonti ministeriali.
"Sono in corso ulteriori approfondimenti da parte dei due ministeri competenti, ministero dello Sviluppo economico e dell'Ambiente, per rilasciare il nulla osta alla pubblicazione della lista", riferiscono le fonti.
Secondo il timing previsto, il disco verde doveva arrivare in questi giorni, esattamente entro il 20 agosto. Pubblicati a giugno 2014 dall'Ispra i criteri per la localizzazione del deposito nazionale, dopo sette mesi (gennaio 2015) la Sogin ha trasmesso all'Ispra la proposta di Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee ad ospitare il deposito. A marzo, l'Ispra ha trasmesso la propria relazione ai ministeri dell'Ambiente e dello Sviluppo Economico che, entro 30 giorni (cioè entro la metà di aprile), avrebbero dovuto dare alla Sogin il nulla osta alla pubblicazione della Carta. I due dicasteri hanno invece richiesto a Sogin e Ispra alcuni approfondimenti tecnici da consegnare in 60 giorni.
Tra il 15 giugno e il 20 luglio, prima Sogin e poi Ispra, hanno risposto rilanciando la palla ai ministeri che avevano 30 giorni di tempo per autorizzare la pubblicazione della Carta revisionata: quindi entro il 20 agosto.

Scorie nucleari in Italia, la relazione della commissione d’inchiesta: confusione e ritardi nella gestione

Di Vincenzo Mulè dal Fatto quotidiano.it


Sotto accusa la Sogin, la società che cura lo smantellamento degli impianti. Per l'allungamento dei tempi e l'aumento dei costi dell'operazione. Ma anche il caos che ha impedito il decollo delI'Ispettorato per la sicurezza nucleare e la radioprotezione che dovrebbe vigilare sulla realizzazione del deposito nazionale delle scorie. Ecco il documento dell'organismo parlamentare che indaga sul ciclo dei rifiuti.

Il suo mandato è di gestire l’uscita definitiva dal nucleare da parte dell’Italia. Al momento, però, Sogin, la Società gestione impianti nucleari, si segnala più per le divisioni interne che per le attività importanti che la attendono. Da qui il pesante ammonimento. «La Sogin mostri una maggiore compattezza e migliori le capacità complessive di gestione dei progetti dei quali è responsabile, anche in vista di quello, non semplice, della realizzazione del deposito nazionale, appena avviato». L’allarme arriva dalla commissione d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, presieduta da Alessandro Bratti, che ieri ha ultimato la prima relazione sulla gestione dei rifiuti radioattivi. Il documento – i cui relatori sono i deputati Dorina Bianchi e Stefano Vignaroli – verrà presentato in Parlamento dopo la pausa estiva ma ilfattoquotidiano.it ha potuto prenderne visione.
La fotografia del nucleare in Italia scattata dalla Commissione parlamentare d’inchiesta non è di quelle che lasciano tranquilli. Nel testo, infatti, si critica anche la gestione dell’autorità di regolamentazione e controllo ritenendo «non più procrastinabile la chiusura del transitorio aperto nel 2009». Da sei anni, infatti, le funzione di garante vengono svolte, in via transitoria, dall’Ispra che ad oggi conta solo su 35 tecnici, in buona parte con un’età già al di sopra dei cinquantacinque anni. I provvedimenti legislativi che si sono succeduti dal 2009 hanno sì tutti confermato l’attribuzione di funzioni regolatorie e di controllo, ma sempre e solo a titolo provvisorio. Secondo la Commissione, questi provvedimenti «hanno inevitabilmente finito col delegittimare, nella sostanza, l’Ispra rispetto a quelle funzioni, tanto che taluni ritengono inopportuno, se non improprio, che il procedimento per la localizzazione del deposito nazionale prosegua quando le funzioni regolatorie sono ancora svolte da un supplente». Dovranno djnque essere garantite in modo certo al nuovo soggetto l’indipendenza e l’autorevolezza che lo svolgimento delle sue funzioni richiede, anche, se necessario, attraverso la riconsiderazione degli atti di competenza governativa già compiuti».
Indipendenza e autorevolezza che il nuovo soggetto deputato, l’Isin, non ha assicurato fino ad ora. L’Ispettorato per la sicurezza nucleare e la radioprotezione, istituito dal D.lgs. 45/2014, è «tuttora inesistente per la mancata nomina dei suoi organi». La designazione per l’incarico di direttore, fatta nel novembre 2014, non è mai stata perfezionata sia «per le forti riserve che la designazione aveva da più parti suscitato riguardo alla rispondenza della persona indicata ai requisiti» sia per le vicende giudiziarie che hanno coinvolto Antonio Agostini, il dirigente del ministero dell’Ambiente individuato dal governo Renzi per ricoprire il ruolo.
Sulla valutazione del lavoro di Sogin pesa soprattutto il ritardo nei lavori, che ha portato la società di Stato a un taglio delle attività previste per il piano quadriennale in corso: per il solo 2015 la riduzione è stata del 42 per cento. Secondo la Commissione industria del Senato la riprogrammazione porterà un ulteriore ritardo di 14 mesi sul completamento del decommissioning in ciascun sito ed un conseguente aumento di spesa di 150 milioni di euro. Già gli interventi degli scorsi anni avevano portato a slittamenti dell’iniziale termine previsto per le attività di smantellamento tra due e nove anni.
Una revisione delle attività sulla quale, nelle aule delle commissioni parlamentari, si è registrata una rottura tra Riccardo Casale, amministratore delegato di Sogin e Giuseppe Zollino, presidente della stessa Sogin con quest’ultimo che ha accollato all’ad le responsabilità maggiori. Una situazione paradossale, che non poteva non essere sottolineata dalla Commissione con il suo richiamo ad una “maggiore compattezza” in vista della realizzazione di quel deposito nazionale delle scorie del quale non si riesce ancora ad individuare il sito adatto.


ReinVento, V edizione - 26 luglio a Scanzano Jonico

Diffondere la cultura della tutela dell'ambiente e del territorio alle nuove generazioni tramite il gioco. Per tali motivi, domenica 26 luglio a Scanzano J.co (MT) torna ReinVento, raduno di aquiloni e giornata del riciclo; una manifestazione  giunta al quinto anno consecutivo organizzata dall'Associazione ScanZiamo le scorie in collaborazione con il lido Il Melograno di Scanzano jonico e l'associazione Taranto Kite di Taranto. Il programma prevede un laboratorio di aquiloni a  cura di Tarantokite e un laboratorio di riciclo a cura di Domenica De Marco della Unitre Jonica e di Milena Stigliani. Creatività, allegria e sensibilizzazione al rispetto dell'ambiente sono le caratteristiche di ReinVento, che ogni anno si arricchisce grazie ai contributi degli artisti degli aquiloni e del riciclo.
La giornata oltre ad essere uno spettacolo di colori, è un'occasione e, per grandi e bambini per riscoprire i giochi all'aria aperta e il rispetto per l'ambiente.

Deposito Nazionale rifiuti radioattivi: consegnato dall'ISPRA l'aggiornamento della mappa ai Ministeri

Comunicato ISPRA

L’ISPRA ha consegnato in data odierna al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e al Ministero dello Sviluppo Economico l'aggiornamento della relazione prevista dal D.Lgs n. 31/2010 sulla proposta di Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee (CNAPI) alla localizzazione del Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi predisposta dalla SO.G.I.N. S.p.A. 
 
Tale aggiornamento era stato richiesto dai Ministeri affinché l’Istituto svolgesse verifiche, ai fini della validazione dei risultati cartografici ed in merito alla coerenza degli stessi con i criteri stabiliti dalla  Guida Tecnica n. 29 dell’ISPRA e dalla IAEA, sulla  revisione operata dalla SO.G.I.N. nel recepire i rilievi formulati dall'Istituto stesso sulla proposta di CNAPI già presentata lo scorso mese di gennaio.
A seguito delle verifiche effettuate sull'aggiornamento della proposta di CNAPI e della relativa documentazione a supporto presentato dalla SO.G.I.N., l'ISPRA non ha formulato ulteriori rilievi.
La relazione dell'ISPRA, considerata la classificazione di riservatezza attribuita dalla SO.G.I.N. alla proposta di CNAPI, è stata analogamente classificata e sarà tale, conformemente alle vigenti disposizioni, sino alla pubblicazione della CNAPI da parte della SO.G.I.N. a seguito del nulla osta che sarà rilasciato dai Ministeri.

Scorie nucleari, a settembre la mappa dei siti idonei per il deposito

Pubblicato da Wired.it

Secondo il Ministero dell’ambiente ad agosto arriverà il nulla osta ministeriale sulla carta dei siti e subito dopo il documento sarà reso pubblico online.

Potrebbe arrivare oggi stesso o al massimo lunedì, ai ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo economico, la Carta delle aree potenzialmente idonee a ospitare il primo deposito italiano per le scorie nucleari. La notizia arriva dall’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione ambientale che lo scorso 17 giugno ha ricevuto la mappa da Sogin, la società di Stato responsabile dello smantellamento degli impianti nucleari e della gestione dei rifiuti radioattivi in Italia.
Il documento sarebbe già a una seconda versione. La prima relazione era stata inviata da Sogin a Ispra nel gennaio 2015 ma su quella mappa, nel mese di aprile, i ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo economico avevano chiesto un ulteriore approfondimento. Sessanta giorni di tempo, scaduti il 17 giugno quando l’Ispra ha effettivamente ricevuto la seconda relazione da Sogin. Quest’ultimo documento non è stato però ancora divulgato.

ISPRA A WIRED: MAPPA TRASMESSA A BREVE
Fonti interne all’Ispra anticipano a Wired: “Ancora non ci sono novità, il passaggio ai ministeri dovrebbe avvenire in questi giorni, forse già oggi, ma dai nostri tecnici ancora non abbiamo indicazioni”. Sappiamo però che la scorsa settimana, dal 6 all’8 luglio, il direttore generale dell’Istituto di ricerca Stefano Laporta era in Svizzera per visitare il deposito intermedio centrale Zwischenlager Würenlingen AG. Una struttura che, secondo una nota dell’Ispra, è “analoga al deposito per lo stoccaggio temporaneo di lunga durata di rifiuti radioattivi ad alta attività che dovrà essere realizzato in Italia”.

SCORIE AD ALTA INTENSITA’: L’INTERROGAZIONE AL MISE
Proprio sul tema della radioattività delle scorie – che si distinguono tra bassa e alta intensità a seconda del tempo di smaltimento, da poche centinaia a migliaia di anni – i primi di luglio il ministero dello Sviluppo economico rispondeva a un’interrogazione del Pd in commissione Attività produttive della Camera. La nota, riportata dall’agenzia di stampa Public Policy, avanzava una ipotesi complementare a quella del deposito italiano e cioè la possibilità di “strutture gestite a livello comunitario” per i rifiuti nucleari ad alta radioattività, viste “le basse quantità di rifiuti ad alta attività dell’Italia (che) non giustificano dal punto di vista tecnico ed economico un deposito nazionale ad hoc”.
Il Deposito attualmente allo studio di Sogin, Ispra e ministeri dovrebbe essere una struttura “di superficie” per “la sistemazione definitiva di circa 75 mila metri cubi di rifiuti di bassa e media attività”. Altri 15 mila metri cubi di rifiuti altamente radioattivi sarebbero stoccati solo temporaneamente nella struttura.

LA MAPPA APPROVATA NON PRIMA DI GIUGNO 2016
La strada per la scelta del sito è comunque ancora lunga. Secondo un prospetto del ministero dell’Ambiente, dopo la comunicazione di Ispra e il nulla osta dei due dicasteri coinvolti (che dovrebbe arrivare entro agosto), la mappa sarà resa pubblica da Sogin nel mese di settembre 2015. Da lì partirà una fase di consultazione di 120 giorni, per la raccolta di osservazioni e proposte tecniche da Regioni, enti locali e stakeholder. A gennaio 2016 la stessa Sogin organizzerà un seminario nazionale per la discussione delle proposte tecniche, il cui termine di presentazione scadrà nel mese di febbraio. Sulla base delle osservazioni raccolte si arriverà ad aprile con una versione aggiornata della mappa.
Ultimo step a giugno 2016, quando è attesa l’approvazione della Cnapi da parte del ministero dello Sviluppo economico, acquisiti i pareri di Ispra e Minambiente.

Scorie nucleari: l’incubo di Altamura e Matera diventa una petizione

Pubblicato da Meteo.it

L’incubo delle scorie nucleari è dietro l’angolo per i cittadini di Altamura e di Matera che potrebbero ritrovarsi sotto casa un deposito nazionale nuovo di zecca, con tutti i rischi annessi per l’ambiente e la salute delle persone. Le notizie a riguardo non sono ancora ufficiali e l’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) renderà pubblica la mappa definitiva solo a fine luglio. Tuttavia, la popolazione ha deciso di non perdere tempo e di rendere subito chiara la sua posizione fermamente contraria con una petizione popolare aperta su firmiamo.it al link http://goo.gl/UGyIOI.
In pochissime ore sono state oltre 2.500 le adesioni per dire “No alle scorie nucleari tra Altamura e Matera”. La posizione dell’iniziativa si allinea inoltre a quelle già note di Regione Basilicata, della parlamentare democratica Lilliana Ventricelli, delle associazioni e dei movimenti politici che si dicono pronti anche a scendere in piazza. La dichiarazione più dura sulla questione è arrivata pochi giorni fa dal sindaco di Matera Raffaello De Ruggieri che senza mezzi termini ha sentenziato: “Non siamo la pattumiera d’Italia”.
LA PETIZIONE – Si legge nel testo: “Questa petizione ha il fine di evitare che la nostra terra venga ancora martoriata dopo le vicende legate allo smaltimento dei rifiuti. Abbiamo tante morti sospette e tanti casi di tumori ancora irrisolti: la gente non può subire anche quest’altra umiliazione!”. Per aderire gratuitamente alla raccolta firme, basta andare al link http://goo.gl/UGyIOI e cliccate su “firma”.

Nucleare. Carta deposito? Decine di migliaia di pagine 'blindate' 3mila elaborati cartografici, 12mila pagine testo, accordi riservatezza

Pubblicato da agenzia DIRE 
 
Si fa presto a dire 'carta', in realta' la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi), che contiene le indicazioni per individuare le aree potenzialmente in grado di ospitare il deposito di superficie per le scorie
nucleari italiane, sarebbe un 'documento monstre' composto da migliaia di pagine.
Infatti, a quanto si apprende, si tratterebbe di 3mila elaborati cartografici e 12mila pagine di testo. Non solo: vista l'attesa e in qualche caso la tensione che  'e' attorno all'indicazione delle aree potenzialmente adatte ad ospitare il deposito, le misure di sicurezza per garantire la riservatezza sono severe. Ad esempio, sempre a quanto si apprende, i testi sono protetti da "una blindatura di tipo industriale", cioe' sono state messe in campo tutte le prassi di sicurezza che riguardano segreti industriali di valore. Chi dovesse infrangere le barriere della riservatezza rischierebbe quindi anche conseguenze sul piano penale. Oltretutto, vista sempre la necessaria riservatezza sui documenti, tutti coloro che hanno lavorato alla redazione della carta hanno dovuto firmare un 'non disclosure agreement', un Accordo di non divulgazione su informazioni confidenziali che le parti si impegnano a mantenere segrete pena la violazione dell'accordo stesso e il decorso di specifiche clausole penali. La pubblicazione della Carta e quella contestuale del Progetto Preliminare del deposito apriranno una fase di consultazione pubblica e di condivisione, che culminera' in un seminario nazionale, dove saranno invitati a partecipare tutti i soggetti coinvolti ed interessati. Il deposito nazionale "e' un'infrastruttura ambientale di superficie dove mettere in totale sicurezza i rifiuti radioattivi- ricorda Sogin dal suo sito- la sua realizzazione consentira' di completare il decommissioning degli impianti nucleari italiani e di gestire tutti i rifiuti radioattivi, compresi quelli provenienti dalle attivita' di medicina nucleare, industriali e di ricerca". Insieme al deposito sara' realizzato il Parco tecnologico: un centro di ricerca, aperto a collaborazioni internazionali, dove svolgere attivita' nel campo del decommissioning, della gestione dei rifiuti radioattivi e dello sviluppo sostenibile in accordo con il territorio interessato. Il Deposito - spiega Sogin dal suo sito- e' una struttura con barriere ingegneristiche e barriere naturali poste in serie, progettata sulla base delle migliori esperienze internazionali e secondo i piu' recenti standard Aiea (Agenzia internazionale energia atomica) che consentira' la sistemazione definitiva di circa 75 mila metri cubi di rifiuti di bassa e media attivita' e lo stoccaggio temporaneo di circa 15 mila metri cubi di rifiuti ad alta attivita'.Dei circa 90 mila metri cubi di rifiuti radioattivi, il 60% derivera' dalle operazioni di smantellamento degli impianti nucleari, mentre il restante 40% dalle attivita' di medicina nucleare, industriali e di ricerca, che continueranno a generare rifiuti anche in futuro. "Il trasferimento dei rifiuti radioattivi in un'unica struttura garantira' sia la totale sicurezza per i cittadini e l'ambiente sia il rispetto delle direttive europee- conclude Sogin- allineando l'Italia ai Paesi che da tempo hanno in esercizio sul loro territorio depositi analoghi".
(Dire)

Scanziamo le Scorie: no a deposito scorie nucleari in Basilicata

"Il territorio della Basilicata non è disponibile ad accettare nessuna tipologia di deposito di scorie nucleari. L’opera, che non si concilia con le caratteristiche ambientali e lo sviluppo del nostro territorio, determinerebbe la fine dell’economia agricola e turistica oggi unica vera fonte di ricchezza per la Basilicata". Lo afferma, in un comunicato stampa, il presidente dell'associazione Scanziamo le Scorie, Donato Nardiello.
"Inoltre si presenta in maniera oscura, priva di trasparenza, dato che ad oggi il Governo non chiarisce le reali intenzioni che si celano dietro il processo di realizzazione del deposito di scorie nucleari.
Ricordiamo il precedente: con il decreto Scanzano si affidava ad un Generale la realizzazione del deposito considerato come opera di difesa militare. Oggi il legislatore indica una definizione di deposito di scorie radioattive astratta in un contorno legislativo che richiede adempimenti senza i quali è complicato capire il contesto per procedere sui territori: definizione di un Programma nazionale con la partecipazione del pubblico per la gestione e messa in sicurezza delle scorie; la creazione dell’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare, con funzioni istruttorie connesse ai processi autorizzativi, le valutazioni tecniche, il controllo e la vigilanza delle attività nucleari;  l’adeguamento della classificazione dei rifiuti radioattivi alle normative internazionali. Oltre a questi adempimenti, si rendono necessari alcuni chiarimenti in particolare sull’applicazione dei criteri per l’individuazione delle aree idonee anche per i rifiuti ad alta attività, oggi ancora un problema irrisolto, e su come gestiremo il materiale radioattivo militare.
Senza tutto questo,  il deposito si mostra ancora una volta, come un affare gestito da pochi e pagato da tutti i cittadini con la bolletta elettrica, che potrebbe mettere a rischio la salute umana e l’economia del territorio. Corriamo il pericolo di realizzare l’ennesima opera pubblica inutile.
Se non verranno date risposte, se non si chiariranno gli aspetti indicati, la pubblicazione delle aree potenzialmente idonee che si terrà nei prossimi giorni non aprirà a nessun percorso di dialogo e trasparenza come propagandato dal Governo. I Comuni della Basilicata che saranno interessati non si autocandideranno ma saranno legittimati a sollevare barricate per evitare il nuovo attacco al territorio che pregiudicherebbe il suo futuro ad uno sviluppo distorto in contraddizione con la sua naturale vocazione economica agricola e turistica.
Invitiamo tutti i cittadini a tenere alta la guardia, a partecipare e ad essere pronti per un’eventuale altra Scanzano contro chi vorrà sporcare la nostra terra e per continuare a costruire sopra il nostro futuro".

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L’incubo radioattivo raddoppia i depositi delle scorie saranno 2

di Marisa Ingrosso dalla Gazzetta del Mezzogiorno

BARI - Non è vero che sul suolo italiano nascerà quello che è stato spacciato come il «deposito nazionale unico» delle scorie radioattive. La verità è che non è «unico». Ne sono previsti due. Uno, il deposito «geologico», servirà per le sostanze ad altissima radiotossicità e sarà scavato a grande profondità. L’altro, quello per veleni a bassa radiotossicità, non sarà sotterraneo ma in superficie e avrà accanto un «parco tecnologico». L’informazione è contenuta in un documento scovato dalla Gazzetta su radioactivewastemanagement.org, sito ufficiale della sesta «Summer School» internazionale dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (l’Ispra è il braccio operativo dei ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo economico).

Si tratta di un documento della Sogin (la società di Stato incaricata della bonifica ambientale dei siti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi), che spiega nel dettaglio qual è la strategia atomica italiana e come sarà costruito e gestito il mega-cimitero per le scorie meno pericolose. Lo firma il «papà» del deposito nazionale di superficie, Angelo Paratore. Il giovane ingegnere è infatti inquadrato in Sogin come «vicedirettore del deposito nazionale delle scorie radioattive. Sul sito sogin.it è spiegato che le sue responsabilità vanno dal progetto, alla realizzazione e messa in attività del cimitero nucleare di superficie.Il documento (in inglese) spiega che «circa 75.000 metri cubi di scorie a radioattività molto bassa e bassa saranno ospitate nel deposito nazionale». E il territorio che si beccherà questa infrastruttura godrà però anche di un «parco tecnologico dedicato ad attività di ricerca sullo smantellamento degli impianti nucleari e sulla gestione dei rifiuti radioattivi».

Dopodiché il documento chiarisce senza mezzi termini che «la sistemazione finale per i circa 15.000 metri cubi di scorie nucleari a radioattività intermedia ed elevata, per i 1.000 metri cubi di carburante esaurito (cioè l’“uranio impoverito”; ma anche il materiale usato per le sperimentazioni atomiche come le barre di Elk River conservate nell’Itrec, in Basilicata; ndr) e per le scorie riprocessate è una sistemazione “geologica”». «In attesa che il deposito geologico sia disponibile - continua il documento - le scorie nucleari a radioattività intermedia ed elevata saranno temporaneamente stoccate in un deposito provvisorio da realizzare nello stesso luogo del deposito nazionale» di superficie. Altro che «unico»: temporaneamente ci saranno due depositi uno nell’altro e successivamente ce ne saranno due in luoghi diversi. In Italia o no, è tutto da verificare. Sogin, nel suo sito futurosicuro.info, dice che «potrà essere localizzato in un altro Paese europeo sulla base di accordi internazionali».

E intanto che si fa? Si rischia? Secondo l’Agenzia per l’energia nucleare dell’Ocse il deposito «geologico» è la soluzione prediletta dalla comunità scientifica internazionale giacché offre margini di garanzia elevati per lo stoccaggio dei super-veleni. In altre parole, la scelta di fare due depositi uno nell’altro in un impianto di superficie non va bene, non è il top della sicurezza per sostanze altamente irraggianti che hanno bisogno di circa 10.000 anni per abbassare il loro livello di radioattività. Per l’Agenzia i siti migliori per il deposito «geologico» sono: giacimenti di salgemma, argilla, granito, ignimbrite, basalto.

Quanto ai veleni a bassa e media radiotossicità, il documento Sogin spiega che dovrà essere sorvegliato a vista per almeno trecento anni, poi «barriere multiple in serie» lo proteggeranno dalle intrusioni. Sarà un manufatto in muratura rinforzata e conterrà i «loculi» perenni in cui verranno stoccati i rifiuti. L’edificio in seguito sarà camuffato da collina: sarà ricoperto da un guscio in calcestruzzo e da strati di terreno. Al suo interno i rifiuti si presenteranno compattati e inseriti in contenitori metallici zeppi di «malta cementizia d’inglobamento». Questi fusti tossici saranno poi stipati in celle di 3 metri per due e questi «loculi» saranno impilati e chiusi in container blindati grandi 27 metri per 15,5. La fase di stoccaggio durerà 40 anni, cui seguiranno altri 300 anni di «controllo istituzionale».

Per evitare che eventuali perdite di radionuclidi passino inosservate, tutta la zona sarà monitorata. Circa il luogo in cui sorgerà il deposito di superficie, il documento tace: soltanto a metà giugno prossimo i ministeri dello Sviluppo Economico e dell’Ambiente consentiranno a Sogin di render pubblico il suo elenco di territori papabili. In compenso, il documento spiega quali sono i criteri di esclusione. Tra gli altri, il deposito non potrà sorgere: in aree vulcaniche; in aree ad alta sismicità; dove ci sono rischi geomorfologici e idraulici o dove si trovano depositi alluvionali olocenici (per esempio Campo Imperatore, Massiccio del Gran Sasso); a quote superiori ai 700 metri sul livello del mare; su terreni con pendenza superiore al 10%; entro 5 km dalle coste e al di sotto dei 20 metri sul livello del mare; nei parchi naturalistici; a meno di 1 km da austostrade, strade principali e ferrovie.

NUCLEARE: ASS. SCANZIAMO SCORIE, PAGATO IN BOLLETTA DISMISSIONE CENTRALI

Roma, 20 mag. - (AdnKronos)
"Lo smantellamento dei centri nucleari ha un costo di circa 300 milioni di euro all'anno pagato dai cittadini nella bolletta ogni 2 mesi, altro che opportunità. Diversamente dai tanti, compresi i rappresentanti del nostro governo non condividiamoassolutamente l'ipotesi che le operazioni di messa in sicurezza delle centrali nucleari vengano classificate come un'opportunità".
Lo afferma Donato Nardiello, presidente dell'associazione 'ScanZiamo le Scorie'.

La stima dei costi per il mantenimento in sicurezza dei rifiuti nucleari ad oggi, sottolinea Nardiello, "è di circa 11 miliardi di euro. Attualmente il problema è irrisolto, in particolare per i rifiuti di alta attività, che manteniamo sotto controllo grazie ai soldi raccolti dalla bolletta elettrica che paghiamo. Ricordiamo che il completamento delle soluzioni di messa in sicurezza e smantellamento hanno subito una forte dilatazione dei tempi e conseguentemente un incremento dei costi".

 Secondo il presidente dell'associazione 'ScanZiamo le Scorie', "fino a quando l'intero processo non sarà reso realmente trasparente e non si offrirà un cambiamento oggettivo degli attori che continuano a gestire le operazioni sarà difficile aprire un dialogo con il territorio e la popolazione, pertanto il decommissioning nucleare continuerà a rimanere un affare di pochi pagato dai cittadini che non troverà altro coinvolgimento".

      (Ler/AdnKronos)
20-MAG-15 13:54

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Il governo prende tempo e rimanda la Carta delle aree al mittente



di Beniamino Bonardi 

Il 16 aprile, i Ministeri dello sviluppo economico e dell’ambiente hanno chiesto degli approfondimenti tecnici alla Sogin e all’Istituto superiore per la protezione ambientale (Ispra) a proposito della Carta delle aree potenzialmente idonee a ospitare il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi (Cnapi). Sogin e Ispra dovranno fornire gli elementi richiesti dai Ministeri entro 60 giorni.
Una richiesta di approfondimento a cui, il 9 aprile, rispondendo alla Camera a un’interrogazione a risposta immediata di Michele Piras (Sel), il Ministro dello sviluppo economico, Federica Guidi, non aveva fatto alcun cenno.
La carta delle aree potenzialmente idonee a ospitare il deposito nazionale per i rifiuti radioattivi è stata consegnata dalla Sogin all’Ispra il 2 gennaio scorso. L’Ispra, che aveva sessanta giorni di tempo per verificare e validare i dati, ha inviato il 13 marzo la propria relazione ai due Ministeri, i quali avevano trenta giorni per comunicare alla Sogin il proprio nulla osta ai fini della pubblicazione della proposta di carta nazionale.
L’Ispra specifica che la richiesta di approfondimenti tecnici dei Ministeri riguarda le “modalità con le quali la Sogin procederà al recepimento dei rilievi formulati dall’Ispra stesso con la suddetta relazione del 13 marzo. Ciò al fine di permettere ai Ministeri l’emanazione del nulla osta alla pubblicazione della Cnapi, aggiornata sulla base di detti rilievi”.
È certo comprensibile che, in una materia complessa e delicata quale è la localizzazione del deposito nazionale dei rifiuti radioattivi, i Ministeri competenti necessitino di chiarimenti e di approfondimenti e abbiano quindi inteso essere cauti. Tuttavia, non pochi avevano ipotizzato che, per il forte coinvolgimento che la Carta suscita per numerose comunità locali interessate dalle elezioni regionali del 31 maggio, difficilmente la Carta avrebbe visto la luce prima di quella data.
Dopo la pubblicazione della Carta delle aree potenzialmente idonee a ospitare il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi ci sarà un processo di consultazione pubblica, nell’ambito del quale i soggetti coinvolti potranno formulare osservazioni o proposte. Alla fine di questa consultazione, 120 giorni dopo la pubblicazione della Carta, ci sarà un seminario nazionale organizzato dalla Sogin. Successivamente, è prevista l’istruttoria finale di approvazione della Carta, sulla cui base potranno essere formulate le dichiarazioni d’interesse da parte delle amministrazioni locali, propedeutiche agli approfondimenti di dettaglio e all’individuazione del sito definitivo.

Chernobyl, la catastrofe nucleare è ancora in agguato




Il 26 aprile 1986 un’esplosione sventrava il reattore numero 4 della centrale nucleare sovietica di Chernobyl, in Ucraina, considerata allora uno degli impianti più sicuri del mondo. A 29 anni di distanza il cadavere radioattivo del più grande disastro del nucleare civile rappresenta ancora  una minaccia per tutta l’area di confine tra Ucraina, Russia e Bielorussia e un monito per chi continua a parlare di nucleare sicuro.  
Il sarcofago di cemento che centinaia di migliaia di “liquidatori”, mandati a morire ed ammalarsi, riuscirono a costruire sulle macerie radioattive ancora fumenti di Chernobyl verrà sostituito con una gigantesca cupola metallica  alta 92 metri  e lunga 245, ma mentre la comunità internazionale sta cercando i soldi per portare a termina un’opera faraonica e costosissima (2 miliardi di euro) quello che non si dice è che si tratta di un’altra soluzione provvisorie e che sotto quelle macerie radioattive c’è ancora una massa di combustibile nucleare che nessuno sa come togliere e neutralizzare.
Nel suolo e nella vegetazione sono ancora presenti il cesio 137 e lo stronzio 90 ed ogni incendio boschivo – come quelli che hanno colpito l’area nelle ultime estati – rischia di rimettere in circlazione particelle radioattive letali. Sempre più studi evidenziano che, contrariamente all’idea fatta abbondantemente circolare di una natura fiorente, di una fauna e di una flora che si sono adattate al disastro ed hanno prosperato in mancanza di esseri umani, animali e piante stanno subendo le conseguenze dell’esposizione alla radioattività.
Nel 2010 il reportage “Chernobyl: A Natural History” ha contribuito a diffondere la favola di una natura intatta che riprendeva possesso del territorio contaminato, ma questa teoria consolatoria è stata duramente sconfessata da ricerche scientifiche realizzate nell’area e che, dopo aver rilevato malformazioni sempre più evidenti  nelle rondini, hanno scoperto che anche la crescita degli alberi viene danneggiata dalle radiazioni e che il suolo è sempre più povero di microrganismi, impedendo la decomposizione della vegetazione.
Un accumulo di biomassa secca che aumenta il rischio incendi nelle estati che il global warming sta rendendo sempre più calde in quella che una vota era la parte europea dell’Unione Sovietica. A febbraio uno studio del Norvegian Institute for Air Research ha confermato che gli incendi boschivi contribuiscono a diffondere nuovamente la radioattività depositatasi nei dintorni di Chernobyl.
Senza contare che la “zona rossa” non è mai stata davvero fatta rispettare e che più di 8 milioni di persone vivono ancora nella zxona contaminata, mentre il conflitto e la povertà in Ucraina spingono altri disperati ad andare ad occupare case e terre nella zona proibita. Un popolo post-disastro nucleare che quotidianamente assume radioelementi da quel che mangia. Cancri, malattie cardiovascolari malformazioni congenite, aumento della mortalità in Russia, Bielorussia ed Ucraina sono molto più diffuse di e quello che dicono le statistiche nazionali ed internazionali.
Intanto la guerra civile ucraina tra nazionalisti e filo-russi e il confronto tra Mosca e Kiev si sta pericolosamente avvicinando alla centrale nucleare di Zaporija, sollevando nuove paure e rischi concreti, mentre nell’Ucraina in guerra la crisi sanitaria e diventata devastante e  i Bielorussia c’è solo l’Institut Belrad di Minsk – non governativo – a curare i bambini dalla radioattività, Ma le sue attività sono sempre più a rischio di chiusura.
Di fronte all’aumento dei tassi di malformazioni congenite (passate tra il 2000 eil 2009 dal 3,5  al 5,5 per 1.000), il ministero della sanità della Bielorussia ha chiuso l’istituto di ricerca sulle malattie ereditarie e congenite e l’istituto di radio-patologia di Gomel. Nel 2005, il Forum Chernobyl, riunito a Vienna sotto l’egida dell’International atomic energy agency (Iaea) ha concluso che solo 4.000 decessi potevano essere attribuiti al disastro nucleare.  Ma studi indipendenti fanno notare che tra gli effetti sulla salute della catastrife nucleare vanno  messi anche lo stress, l’alcoolismo sempre più diffuso, la radiofobia ed il deterioramento delle condizioni economiche e sociali in una vasta regione. Comunque le cifre indipendenti sui malati “diretti” sono molto più alte: secondo lo studio “Chernobyl. Consequences of the catastrophe for people and the environnement” del team di Yuri Bandajevski pubblicato nel 2011, la catastrofe e le sue ricadute avrebbero casato 985.000 vittime.
In occasione di questo triste anniversario diverse associazioni ambientaliste ed umanitarie hanno fatto notare che anche nell’Europa occidentale sono decine di migliaia le persone che si sono ammalate di tiroide dopo il passaggio ed il fall-out della nube radioattiva che svuotò i negozi di frutta e verdura. Dopo quelle giornate di terrore nucleare, spesso c’è stata, in Unione Sovietica e poi nelle Repubbliche indipendenti, anche in quelle entrate nell’Ue,  ma anche in Europa una disinformazione/minimizzazione voluta e generalizzata sul nucleare, rotta solo dai due referendum italiani che hanno detto no al modo più costoso e rischioso di produrre energia, e dalla nuova tragedia – ancora in corso – di Fukushima Daiichi che ha costretto diversi paesi europei a prendere atto che il nucleare appartiene al passato.