Il 26 aprile
1986 un’esplosione sventrava il reattore numero 4 della centrale nucleare
sovietica di Chernobyl, in Ucraina, considerata allora uno degli impianti più
sicuri del mondo. A 29 anni di distanza il cadavere radioattivo del più grande
disastro del nucleare civile rappresenta ancora una minaccia per tutta
l’area di confine tra Ucraina, Russia e Bielorussia e un monito per chi
continua a parlare di nucleare sicuro.
Il sarcofago
di cemento che centinaia di migliaia di “liquidatori”, mandati a morire ed
ammalarsi, riuscirono a costruire sulle macerie radioattive ancora fumenti di
Chernobyl verrà sostituito con una gigantesca cupola metallica alta 92
metri e lunga 245, ma mentre la comunità internazionale sta cercando i
soldi per portare a termina un’opera faraonica e costosissima (2 miliardi di
euro) quello che non si dice è che si tratta di un’altra soluzione provvisorie
e che sotto quelle macerie radioattive c’è ancora una massa di combustibile
nucleare che nessuno sa come togliere e neutralizzare.
Nel suolo e
nella vegetazione sono ancora presenti il cesio 137 e lo stronzio 90 ed ogni
incendio boschivo – come quelli che hanno colpito l’area nelle ultime estati –
rischia di rimettere in circlazione particelle radioattive letali. Sempre più
studi evidenziano che, contrariamente all’idea fatta abbondantemente circolare
di una natura fiorente, di una fauna e di una flora che si sono adattate al
disastro ed hanno prosperato in mancanza di esseri umani, animali e piante
stanno subendo le conseguenze dell’esposizione alla radioattività.
Nel 2010 il
reportage “Chernobyl: A Natural History” ha contribuito a diffondere la
favola di una natura intatta che riprendeva possesso del territorio
contaminato, ma questa teoria consolatoria è stata duramente sconfessata da
ricerche scientifiche realizzate nell’area e che, dopo aver rilevato
malformazioni sempre più evidenti nelle rondini, hanno scoperto che anche
la crescita degli alberi viene danneggiata dalle radiazioni e che il suolo è
sempre più povero di microrganismi, impedendo la decomposizione della
vegetazione.
Un accumulo
di biomassa secca che aumenta il rischio incendi nelle estati che il global
warming sta rendendo sempre più calde in quella che una vota era la parte
europea dell’Unione Sovietica. A febbraio uno studio del Norvegian Institute
for Air Research ha confermato che gli incendi boschivi contribuiscono a
diffondere nuovamente la radioattività depositatasi nei dintorni di Chernobyl.
Senza
contare che la “zona rossa” non è mai stata davvero fatta rispettare e che più
di 8 milioni di persone vivono ancora nella zxona contaminata, mentre il
conflitto e la povertà in Ucraina spingono altri disperati ad andare ad
occupare case e terre nella zona proibita. Un popolo post-disastro nucleare che
quotidianamente assume radioelementi da quel che mangia. Cancri, malattie
cardiovascolari malformazioni congenite, aumento della mortalità in Russia,
Bielorussia ed Ucraina sono molto più diffuse di e quello che dicono le
statistiche nazionali ed internazionali.
Intanto la
guerra civile ucraina tra nazionalisti e filo-russi e il confronto tra Mosca e
Kiev si sta pericolosamente avvicinando alla centrale nucleare di Zaporija,
sollevando nuove paure e rischi concreti, mentre nell’Ucraina in guerra la
crisi sanitaria e diventata devastante e i Bielorussia c’è solo
l’Institut Belrad di Minsk – non governativo – a curare i bambini dalla
radioattività, Ma le sue attività sono sempre più a rischio di chiusura.
Di fronte
all’aumento dei tassi di malformazioni congenite (passate tra il 2000 eil 2009
dal 3,5 al 5,5 per 1.000), il ministero della sanità della Bielorussia ha
chiuso l’istituto di ricerca sulle malattie ereditarie e congenite e l’istituto
di radio-patologia di Gomel. Nel 2005, il Forum Chernobyl, riunito a Vienna
sotto l’egida dell’International atomic energy agency (Iaea) ha concluso che
solo 4.000 decessi potevano essere attribuiti al disastro nucleare. Ma
studi indipendenti fanno notare che tra gli effetti sulla salute della
catastrife nucleare vanno messi anche lo stress, l’alcoolismo sempre più
diffuso, la radiofobia ed il deterioramento delle condizioni economiche e
sociali in una vasta regione. Comunque le cifre indipendenti sui malati “diretti”
sono molto più alte: secondo lo studio “Chernobyl. Consequences of the
catastrophe for people and the environnement” del team di Yuri Bandajevski
pubblicato nel 2011, la catastrofe e le sue ricadute avrebbero casato 985.000
vittime.
In occasione
di questo triste anniversario diverse associazioni ambientaliste ed umanitarie
hanno fatto notare che anche nell’Europa occidentale sono decine di migliaia le
persone che si sono ammalate di tiroide dopo il passaggio ed il fall-out della
nube radioattiva che svuotò i negozi di frutta e verdura. Dopo quelle giornate
di terrore nucleare, spesso c’è stata, in Unione Sovietica e poi nelle
Repubbliche indipendenti, anche in quelle entrate nell’Ue, ma anche in
Europa una disinformazione/minimizzazione voluta e generalizzata sul nucleare,
rotta solo dai due referendum italiani che hanno detto no al modo più costoso e
rischioso di produrre energia, e dalla nuova tragedia – ancora in corso – di
Fukushima Daiichi che ha costretto diversi paesi europei a prendere atto che il
nucleare appartiene al passato.
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