Un deposito
geologico per i rifiuti radioattivi 'a vita lunga': sarebbe questa la soluzione
in grado di garantire l'isolamento dalla biosfera delle scorie radioattive,
finché la loro radioattività non sia scesa a livelli non pericolosi per l'uomo
e per l'ambiente (ma perché questo accada ci possono volere migliaia e decine
di migliaia di anni). Le formazioni geologiche profonde, in grado di restare
stabili e inalterate per periodi che si misurano nell'ordine di tempi
geologici, sarebbero dunque perfette, in particolare le miniere di sale, ma
anche i bacini argillosi o i bacini di granito non fratturato.
"Soluzioni
che in Italia non mancano", sottolinea Piero Risoluti, uno dei maggiori
esperti di materiali radioattivi, che all'ipotesi dedica un capitolo del suo
libro "Il deposito italiano delle scorie radioattive. 18 anni di
tentativi" (Armando Editore), presentato oggi. Risoluti, che ha svolto la
sua attività presso l'Eni, l'Enea, l'Agenzia internazionale per l'Energia
Atomica delle nazioni Unite (Iaea), difende con forza l'ipotesi che in Paesi
con importanti produzioni di rifiuti a vita lunga, soprattutto ad alta
attività, come Svezia e Francia, può già contare su importanti programmi ad
hoc.
Ipotesi che,
con il progetto Pangea, era alla base della proposta di un deposito geologico
internazionale, poi abbandonata, che aveva individuato già le possibili aree in
Australia, Patagonia, Gobi, Africa.
Proposta
condivisibile o meno, di fatto "l'Italia deve fare i conti con l'eredità
del nucleare - commenta Ermete Realacci, presidente della Commissione Ambiente
della Camera che firma anche la prefazione al testo - lo smantellamento delle
centrali è una partita che si giocherà presto non solo in Italia e che dovrà
testimoniare la capacità del nostro Paese di affrontare la questione sia dal
punto di vista tecnico che scientifico".
E visto che
"per costruire un deposito geologico ci vogliono almeno 30 anni, e non i 5
indicati dal decreto legge con cui il Governo nel 2003 decise di localizzare il
deposito nazionale a Scanzano - precisa Risoluti - varrebbe quindi la pena di
iniziare a fare gli studi a tavolino, che non costano molto, invece di
perseguire il grande progetto di mandare i rifiuti all'estero". Ma quella
del deposito, ricorda Risoluti, è una questione che muove grandi interessi.
"Lo
Stato ha pagato fino ad oggi 150 milioni di euro a Comuni e Province che
detengono, sul proprio territorio, rifiuti radioattivi", denuncia. Qualche
esempio? "Tra i 5 e i 6 milioni l'anno ai Comuni di Ispra e Varese, e 6
milioni a Osteria Nuova per i rifiuti di Casaccia che vanno per metà al Comune
di Roma e l'altra metà alla provincia. Una pioggia di soldi", commenta
Risoluti. Altro tema affrontato nel suo libro che, a più di un quarto di secolo
dalla chiusura delle attività nucleari in Italia e con le scorie ancora da
sistemare, entra nel dibattito sull'individuazione del sito idoneo in
cui smaltire e depositare i rifiuti radioattivi.
Nessun commento:
Posta un commento