di Marisa Ingrosso dalla Gazzetta del Mezzogiorno
BARI - Non è vero che sul suolo italiano nascerà quello che è stato
spacciato come il «deposito nazionale unico» delle scorie radioattive.
La verità è che non è «unico». Ne sono previsti due. Uno, il deposito
«geologico», servirà per le sostanze ad altissima radiotossicità e sarà
scavato a grande profondità. L’altro, quello per veleni a bassa
radiotossicità, non sarà sotterraneo ma in superficie e avrà accanto un
«parco tecnologico». L’informazione è contenuta in un documento scovato
dalla Gazzetta su radioactivewastemanagement.org, sito ufficiale della
sesta «Summer School» internazionale dell’Istituto superiore per la
protezione e la ricerca ambientale (l’Ispra è il braccio operativo dei
ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo economico).
Si tratta di un documento della Sogin (la società di Stato incaricata
della bonifica ambientale dei siti nucleari italiani e della gestione
dei rifiuti radioattivi), che spiega nel dettaglio qual è la strategia
atomica italiana e come sarà costruito e gestito il mega-cimitero per le
scorie meno pericolose. Lo firma il «papà» del deposito nazionale di
superficie, Angelo Paratore. Il giovane ingegnere è infatti inquadrato
in Sogin come «vicedirettore del deposito nazionale delle scorie
radioattive. Sul sito sogin.it è spiegato che le sue responsabilità
vanno dal progetto, alla realizzazione e messa in attività del cimitero
nucleare di superficie.Il documento (in inglese) spiega che «circa
75.000 metri cubi di scorie a radioattività molto bassa e bassa saranno
ospitate nel deposito nazionale». E il territorio che si beccherà questa
infrastruttura godrà però anche di un «parco tecnologico dedicato ad
attività di ricerca sullo smantellamento degli impianti nucleari e sulla
gestione dei rifiuti radioattivi».
Dopodiché il documento chiarisce senza mezzi termini che «la
sistemazione finale per i circa 15.000 metri cubi di scorie nucleari a
radioattività intermedia ed elevata, per i 1.000 metri cubi di
carburante esaurito (cioè l’“uranio impoverito”; ma anche il materiale
usato per le sperimentazioni atomiche come le barre di Elk River
conservate nell’Itrec, in Basilicata; ndr) e per le scorie riprocessate è
una sistemazione “geologica”». «In attesa che il deposito geologico sia
disponibile - continua il documento - le scorie nucleari a
radioattività intermedia ed elevata saranno temporaneamente stoccate in
un deposito provvisorio da realizzare nello stesso luogo del deposito
nazionale» di superficie. Altro che «unico»: temporaneamente ci saranno
due depositi uno nell’altro e successivamente ce ne saranno due in
luoghi diversi. In Italia o no, è tutto da verificare. Sogin, nel suo
sito futurosicuro.info, dice che «potrà essere localizzato in un altro
Paese europeo sulla base di accordi internazionali».
E intanto che si fa? Si rischia? Secondo l’Agenzia per l’energia
nucleare dell’Ocse il deposito «geologico» è la soluzione prediletta
dalla comunità scientifica internazionale giacché offre margini di
garanzia elevati per lo stoccaggio dei super-veleni. In altre parole, la
scelta di fare due depositi uno nell’altro in un impianto di superficie
non va bene, non è il top della sicurezza per sostanze altamente
irraggianti che hanno bisogno di circa 10.000 anni per abbassare il loro
livello di radioattività. Per l’Agenzia i siti migliori per il deposito
«geologico» sono: giacimenti di salgemma, argilla, granito, ignimbrite,
basalto.
Quanto ai veleni a bassa e media radiotossicità, il documento Sogin
spiega che dovrà essere sorvegliato a vista per almeno trecento anni,
poi «barriere multiple in serie» lo proteggeranno dalle intrusioni. Sarà
un manufatto in muratura rinforzata e conterrà i «loculi» perenni in
cui verranno stoccati i rifiuti. L’edificio in seguito sarà camuffato da
collina: sarà ricoperto da un guscio in calcestruzzo e da strati di
terreno. Al suo interno i rifiuti si presenteranno compattati e inseriti
in contenitori metallici zeppi di «malta cementizia d’inglobamento».
Questi fusti tossici saranno poi stipati in celle di 3 metri per due e
questi «loculi» saranno impilati e chiusi in container blindati grandi
27 metri per 15,5. La fase di stoccaggio durerà 40 anni, cui seguiranno
altri 300 anni di «controllo istituzionale».
Per evitare che eventuali perdite di radionuclidi passino inosservate,
tutta la zona sarà monitorata. Circa il luogo in cui sorgerà il deposito
di superficie, il documento tace: soltanto a metà giugno prossimo i
ministeri dello Sviluppo Economico e dell’Ambiente consentiranno a Sogin
di render pubblico il suo elenco di territori papabili. In compenso, il
documento spiega quali sono i criteri di esclusione. Tra gli altri, il
deposito non potrà sorgere: in aree vulcaniche; in aree ad alta
sismicità; dove ci sono rischi geomorfologici e idraulici o dove si
trovano depositi alluvionali olocenici (per esempio Campo Imperatore,
Massiccio del Gran Sasso); a quote superiori ai 700 metri sul livello
del mare; su terreni con pendenza superiore al 10%; entro 5 km dalle
coste e al di sotto dei 20 metri sul livello del mare; nei parchi
naturalistici; a meno di 1 km da austostrade, strade principali e
ferrovie.
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