VERSO IL DEPOSITO NAZIONALE DEI RIFIUTI RADIOATTIVI - Vulcani e terremoti


Pubblicato da www.astrolabio.amicidellaterra.it

di Leonello Serva

E’ piuttosto difficile commentare la Guida Tecnica (GT) dell’ISPRA: se, da un lato, la stessa cerca di applicare criteri molto pragmatici, dall’altro, questo pragmatismo nel contesto italiano si può prestare a contenziosi che non assicurano affatto il conseguimento del fine prefisso. Il fine, considerando la situazione attuale dei depositi per i rifiuti radioattivi a bassa e media attività, dovrebbe essere quello di selezionare il sito nel minor tempo possibile.  
Come riportato nella Relazione Illustrativa alla GT, qualora il deposito nazionale per rifiuti radioattivi non venisse realizzato, tutti gli esercenti, responsabili dei rifiuti radioattivi di pertinenza, dovranno garantirne la conservazione in sicurezza realizzando presso ciascun impianto idonee strutture per lo stoccaggio a lungo termine. Ciò significherebbe una improponibile proliferazione di siti di stoccaggio nell’intero territorio nazionale, anche in impianti localizzati in aree ad elevata pericolosità naturale.
L’individuazione del sito dove realizzare il deposito è quindi assolutamente necessaria e, in un contesto geologicamente complesso quale quello italiano, al fine di non escludere tout-court la quasi totalità del territorio nazionale, i criteri di esclusione devono essere accuratamente ponderati.
Al fine di chiarire meglio quanto detto, si presentano di seguito due esempi in riferimento ai primi due criteri di esclusione (rischio vulcanico e rischio sismico). E’ importante altresì sottolineare che la mancanza di un capitolo contenente le definizioni dei termini utilizzati nella Guida causa ulteriori problemi di applicazione.

Il primo criterio di esclusione: il CE1, aree vulcaniche attive o quiescenti. Sono quelle aree che presentano apparati vulcanici attivi o quiescenti, quali: Etna, Stromboli, Colli Albani, Campi Flegrei, Ischia, Vesuvio, Lipari, Vulcano, Panarea, Isola Ferdinandea e Pantelleria. (Terminologia  ripresa  pragmaticamente da quella del Dipartimento  Nazionale della Protezione Civile, ma che lascia molte perplessità; qualcuno può pensare di costruire un sito su un vulcano sottomarino?).
La guida fornisce un elenco dei vulcani italiani tradizionalmente ritenuti attivi ma, di fatto, non fornisce criteri per la definizione dello stato di attività dei vulcani/campi vulcanici e dell’estensione delle aree da escludere.
L’individuazione delle aree potenzialmente interessate da significative manifestazioni vulcaniche non è semplice come può apparire, a partire dalla stessa definizione di vulcano attivo/quiescente. 
Convenzionalmente, vengono individuati come attivi i vulcani che hanno manifestato attività nel corso dell’Olocene, cioè negli ultimi 10.000 anni (vedi ad esempio Simkin and Siebert, 1994). Diversi autori sottolineano però come molti vulcani abbiano eruttato dopo periodi di inattività superiori ai 10.000 anni e che quindi le considerazioni sulla pericolosità vulcanica non possono essere limitate all’Olocene (vedi IAEA, 2012; Connor et al., 2009). Secondo una più rigorosa definizione si considerano attivi ma in uno stato di quiescenza i vulcani il cui tempo di riposo attuale è inferiore al più lungo periodo di riposo registrato in precedenza. Definizione sicuramente più precisa, ripresa anche sul sito della Protezione Civile, ma che richiede una accurata conoscenza della storia eruttiva di ogni vulcano. Nonostante le informazioni in proposito siano, in modo riconosciuto, tra le più dettagliate al mondo, è probabile che esistano ancora delle significative lacune conoscitive.
Oltre alla definizione dello stato di attività sarebbe fondamentale fornire i criteri per individuare l’area che può essere interessata da manifestazioni vulcaniche in grado di arrecare seri danni al sito che in tal caso verrebbe escluso. Ovviamente, tale area varia in funzione del tipo e dell’intensità del fenomeno vulcanico preso in considerazione: è necessario quindi in ogni caso riferirsi ad un’eruzione specifica. Considerando che è necessario ragionare sul lungo periodo, l’eruzione di riferimento deve essere la massima registrata nel record geologico o quella attualmente ritenuta la massima attesa? C’è forse qualche vulcanologo che si senta in grado di affermare con certezza che nell’arco di “un periodo di tempo dell’ordine di alcune centinaia di anni” non si possa verificare un’eruzione catastrofica nelle aree vulcaniche italiane? I prodotti di una simile eruzione potrebbero arrecare danni ad impianti distanti molte decine di chilometri dal centro eruttivo. Non si tratta quindi solo di escludere, come fa la GT, le aree caratterizzate dalla presenza di “apparati vulcanici attivi o quiescenti”, ma di compiere valutazioni più ampie e sistematiche delle diverse cause di rischio per l’opera da realizzare.
In conclusione, quindi, sarebbe stato forse preferibile un approccio più pragmatico, escludendo tutte le aree italiane dove sono presenti vulcani con manifestazioni significative in tempi storici e rimandando alla fase di approfondimento la valutazione, anche in termini di ampiezza, delle altre aree interessate da vulcanesimo più o meno recente. In altre parole, si potrebbero escludere, in prima analisi, le aree interessate da piani di emergenza per il rischio vulcanico e quelle interessate da colate laviche o da flussi piroclastici significativi in tempi storici se non hanno piani di emergenza, per poi seguire, per tutte le aree vulcaniche italiane, l’approccio indicato dalla IAEA, in particolare nella guida IAEA SSG-21 : Volcanic Hazards in Site Evaluation for Nuclear Installations. Specific Safety Guide. Vienna 2012 (tenendo conto che i vulcani “quiescenti” sono in parte assimilabili a quelli capable  secondo tale documento IAEA), dove per definire il rischio vulcanico in un sito viene indicato lo schema qui sotto riportato.
Figura 1. Approccio metodologico per la valutazione del rischio vulcanico(modificato da IAEA SSG-21(2012)
Nel documento IAEA, è chiaramente espresso che, se un certo sito è essere interessato da un fenomeno (sia esso proveniente da un vulcano attivo o quiescente) tra quelli elencati nella tabella sotto, esso deve essere valutato in termini di rischio vulcanico. Ad esempio, è necessario valutare anche se nel nostro sito possa cadere una certa quantità di piroclastiti provenienti da un apparato vulcanico più o meno vicino.
Tabella 1. Fenomeni vulcanici potenzialmente avversi alle installazioni nucleari

Fenomeni
Caratteristiche potenzialmente avverse per installazioni nucleari
Viene considerata una condizione di esclusione allo stadio di selezione del sito?
Sono possibili effetti di mitigazione per mezzo di misure su disegno e sulle condizioni operative?
1. Tephra fallout
Carichi fisici stabili statici, particelle abrasive corrosive nell’aria e nell’acqua
no
Si
2. Correnti di densità piroclastica: flussi piroclastici, surges e esplosioni
Carichi fisici dinamici, sovrappressioni atmosferiche, impatti di proiettili, temperature maggiori di 300 centigradi, particelle abrasive, gas tossici
si
No
3. Flussi di lava
Carichi fisici dinamici, fenomeni alluvionali e di eccesso di acqua, temperatura maggiore di 700 centigradi,
si
No
4. Materiale di valanghe, frane e frane di pendio
Carichi fisici dinamici, sovrapposizioni atmosferiche, impatti di proiettili, alluvioni e eccessi d’acque
si
No
5. Flusso di detriti vulcanici, lahars e alluvioni
Carichi fisici dinamici, alluvioni e eccessi d’acqua, particolato sospeso in acqua
si
Si
6. Apertura di nuove bocche
Carichi fisici dinamici, deformazione del suolo, terremoti vulcanici
si
No
7. Missili generati da vulcani
Impatti di particelle, carichi fisici statici particelle abrasive in acqua
si
Si
8. Gas vulcanici e areosol
Gas tossici e corrosivi, pioggia acida, laghi caricati di gas, contaminazione dell’acqua
no
Si
9. Tsunami, spighe, rottura di laghi craterici ed esplosioni glaciali
Inondazioni di acqua
si
Si
10. Fenomeni atmosferici
Sovrapposizioni dinamiche, scarichi di fulmini, venti provenienti dall’esplosione
no
Si
11. Deformazione del terreno
Movimenti del terreno, subsidenza o sollevamento, piegamento del terreno, frane
si
No
12. Terremoti vulcanici e rischi collegati
Terremoti continui, shocks multipli, in genere terremoti di magnitudo M<5
no
Si
13. Sistemi idrotermali e anomalie della tavola d’acqua
Acque termali, acque corrosive, contaminazione dell’acqua, inondazioni o risalita dell’acqua, alterazioni idrotermali, frane, modificazione del karst e del thermokarst, cambiamenti improvvisi nella pressione idraulica
si
Si
Nota: quando appaiono due si nelle due colonne, è l’entità del fenomeno ad essere rilevante.
Nella tabella sono indicati i fenomeni vulcanici e le caratteristiche associate che potrebbero avere effetto sulle installazioni nucleari con implicazioni per la selezione del sito e per la valutazione del progetto.  Per ogni tipo di manifestazione vulcanica che possa interessare il sito, devono essere fissati dei criteri, deterministici e/o probabilistici. Tali criteri non possono essere tarati sull’eruzione massima attesa nel breve periodo (ad esempio, quella del 1631 per il Vesuvio) ma su quella più probabile nell’arco di molte centinaia di anni, che può essere anche sostanzialmente diversa.
L’approccio qui delineato, raccomandato dalla IAEA, ha basi dottrinali molto consistenti (si veda in particolare Connor et al., 2009, e Simkin and Siebert, 1994). Quello utilizzato dalla GT dell’ISPRA non appare invece chiaramente definito. Si suggerisce quindi che, almeno nella fase di approfondimento, i criteri di verifica siano espressamente indicati.
Connor C.B., Chapman N.A., and Connor L.J (2009). Volcanic and Tectonic Hazard Assessment for Nuclear Facilities. Cambridge University Press.
IAEA (2012) - SSG-21: Volcanic Hazards in Site Evaluation for Nuclear Installations. Specific Safety Guide. Vienna 2012.
Simkin, T. & Siebert, L. (1994). Volcanoes of the World, 2nd ed. Tucson: Geoscience Press for the Smithsonian Institution.

Un discorso più semplice ma sicuramente più importante riguarda il secondo criterio. Il criterio CE2: aree contrassegnate da sismicità elevata che recita:
Sono quelle aree contrassegnate da un valore previsto di picco di accelerazione (PGA) al substrato rigido, per un tempo di ritorno di 2475 anni, pari o superiore a 0,25 g, secondo le vigenti Norme Tecniche per le Costruzioni, in quanto in tali aree le successive analisi sismiche di sito potrebbero evidenziare condizioni in grado di compromettere la sicurezza del deposito nelle fasi di caricamento e, dopo la chiusura, per tutto il periodo di controllo istituzionale.
Questo testo è chiaramente di derivazione del Dipartimento Nazionale della Protezione Civile. Si ritiene però che  per un deposito di scorie nucleari non possa essere fissato tout court  un limite quale quello  indicato dalla Protezione Civile, ma che ci si debba riferire al terremoto massimo potenzialmente possibile in quel sito (in genere, per gli addetti ai lavori esso è quello con periodo di ritorno deci-millenario) nell’attuale regime tettonico calcolato come suggerito nella IAEA SSG-9: Seismic Hazards in Site Evaluation for Nuclear Installations, Vienna, 2010, per tutti gli altri impianti di tipo nucleare).
Il calcolo del terremoto con periodo di ritorno di2475 anni è una estrapolazione statistica di dati per lo più di sismicità storica e strumentale e poco si presta ad essere preso a riferimento per garantire, anche per la percezione del più vasto pubblico, che il sito è sicuro a fronte del terremoto. Fissare inoltre un criterio di esclusione sulla base di una  determinata accelerazione del suolo è ormai quasi del tutto  superato,  sia per la localizzazione degli impianti nucleari,  sia, più in generale, per altre strutture. In tutto il mondo si progettano impianti anche molto più complessi di un deposito per scorie nucleari (ad es. impianti ad alto rischio, grattacieli in zone costiere e quindi con terreni di fondazione del tutto scadenti) con accelerazioni al suolo ben maggiori di 0.25 g. Si tratta infatti solo di una questione di ingegneria, peraltro  non  molto complicata.
Per  chiarire cosa  possa comportare una scelta quale quella  effettuata nella GT ISPRA, si  ricorda che l’aumentato numero di registrazioni accelerometriche disponibili a livello mondiale ha ampiamente dimostrato che i valori di riferimento di accelerazione del suolo alle varie magnitudo del terremoto atteso erano nei tempi passati altamente sottostimate. In particolare, è risultato che accelerazioni quale quella di 0,25 g presa a riferimento nella GT di ISPRA sono possibili nelle aree epicentrali di Magnitudo (Mw) intorno a 5 (vale a dire un’intensità macrosismica MM o MSK o MCS, intorno all’VIII grado). E’ d’altronde noto che non  è possibile escludere che un terremoto di tale magnitudo possa avvenire dappertutto anche in Italia in quanto non si hanno a tutt’oggi elementi scientifici e tecnologici discriminativi come  esistono invece, espletando studi adeguati, per terremoti di Magnitudo maggiore di  5. Quindi cautelativamente si assume che un terremoto di Magnitudo 5 possa accadere ovunque, anche sotto il sito nucleare di nostro interesse. Pertanto, a fronte di un criterio di esclusione di quel tipo  potrà essere sempre possibile dimostrare che il sito scelto non è idoneo, né si ritiene, per quanto sopra detto, che un valore discriminante nella selezione di un sito nucleare possa essere attribuito alla determinazione di periodo di ritorno di 2475 anni. Si suggerisce quindi di togliere questo criterio di esclusione e rimandare il calcolo del terremoto di progetto del deposito a quanto richiesto dalla guida IAEA sopra indicata. Paradossalmente sarebbe il caso di imporre 0.25 g come limite minimo della progettazione del deposito.
Si auspica che quanto sopra risulti utile anche al fine di poter utilizzare il deposito per lo stoccaggio di rifiuti ad alta attività e lunga vita.

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