Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it
In
queste settimane l’opinione pubblica è in gran parte attenta all’orgogliosa
marcia del paese verso l’Esposizione universale di Milano e c’è quindi poco
spazio per alcuni pur importanti eventi internazionali. Per esempio il 27
aprile comincerà un mese di incontri per la revisione del Trattato di
non-proliferazione nucleare (TNP), una sessione delle Nazioni Unite che si
riunisce ogni cinque anni alla ricerca di qualche accordo per diminuire, e
magari per mettere fine alla presenza di armi nucleari sul pianeta.
Con
mille esplosioni di bombe nucleari nell’atmosfera e altre mille esplosioni di
bombe nucleari nel sottosuolo, nella metà del Novecento, Stati Uniti, Unione
Sovietica (oggi Russia), Francia, Inghilterra, Russia, Cina, Pakistan e India,
si sono dati da fare per assicurare i possibili nemici di possedere le più
devastanti armi di distruzione di massa: se un paese avesse aggredito l’altro,
sarebbe stato a sua volta distrutto; è la dottrina della “deterrenza”. Al club
atomico si è poi aggiunto Israele, forse la Corea del Nord, e altri paesi hanno
tentato di costruire le proprie bombe atomiche.
Per
indurre i paesi non-nucleari a non dotarsi di armi nucleari e per scoraggiare
la circolazione o il furto di uranio e plutonio, nel 1970 è stato proposto e
poi firmato e ratificato, da “quasi” tutti i paesi, il Trattato TNP. Era
naturale che molti paesi, in questo turbolento mondo, si chiedessero perché
alcuni potessero possedere armi nucleari vietate agli altri, per cui nel
trattato fu inserito un “Articolo sei” che impegna tutti i firmatari ad avviare
in buona fede azioni per l’eliminazione totale di tali armi, in maniera simile
a quanto si era fatto con successo per l’eliminazione di altre armi di
distruzione di massa, come quelle chimiche e batteriologiche.
Nel
corso degli anni sono diminuite e cessate le esplosioni sperimentali
nell’atmosfera o nel sottosuolo, ma solo perché sono stati inventati altri
sistemi per controllare il “perfetto funzionamento” delle bombe nucleari
esistenti. Delle sessantamila bombe nucleari esistenti nel mondo nel 1985 molte
sono state eliminate e oggi ne restano “soltanto” circa 10.000, con una potenza
distruttiva equivalente a quella di alcune centinaia di migliaia di bombe come
quelle che spianarono Hiroshima e Nagasaki, esattamente 70 anni fa. Alcune
bombe termonucleari B-61 americane sono localizzate anche in Italia a Ghedi
(Brescia) e Aviano (Vicenza).
L’esplosione
anche solo di alcune bombe nucleari creerebbe sconvolgimenti climatici,
desertificazione, avvelenamento e morte su intere regioni; per questo nel 1996
la Corte internazionale di giustizia dell’Aja ha dichiarato illegale anche solo
la minaccia dell’uso delle armi nucleari. Intellettuali, premi Nobel e uomini
politici (gli americani Kissinger e altri nel 2007; D’Alema, Fini, La Malfa e
altri in Italia nel 2008), ma soprattutto movimenti pacifisti ed ambientalisti
hanno chiesto ad alta voce, e finora senza successo, “un mondo senza armi
nucleari”.
Nel
2014 la piccola Repubblica delle Isole Marshall, 68.000 abitanti di un gruppo
di atolli nel Pacifico, in cui gli americani fecero esplodere centinaia di
bombe nucleari cinquant’anni fa, ha “fatto causa” agli Stati Uniti e ad altri
paesi nucleari che, pur avendo firmato il TNP, hanno sempre evitato di
ottemperare agli obblighi dell’”Articolo sei” di tale trattato e anzi hanno
continuato a perfezionare i loro arsenali. Nel 2014 l’Austria ha redatto il
testo di un “Impegno” per la totale eliminazione delle armi nucleari dal
pianeta.
Il
disarmo nucleare totale, oltre ad aumentare la sicurezza internazionale e far
diminuire i ben noti pericoli di danni ambientali, ha risvolti economici
rilevanti. Intanto ogni anno nei soli Stati Uniti vengono spesi centinaia di
miliardi di dollari per l’aggiornamento, il perfezionamento e la manutenzione
delle bombe nucleari, soldi che il disarmo totale farebbe risparmiare. Questo
certo disturberebbe il vasto e potente complesso militare-industriale delle
imprese che traggono profitti dalla produzione dell’uranio arricchito, del
plutonio, dei composti di deuterio, gli ingredienti “esplosivi” delle bombe
nucleari; simili attività sono fiorenti in tutti i paesi che possiedono armi
nucleari e si capisce perché il disarmo incontra tanti ostacoli.
D’altra
parte l’eliminazione totale delle bombe nucleari, oltre a garantire maggiore
sicurezza internazionale e a scongiurare il pericolo di catastrofi umanitarie e
ambientali dovute alla stessa esistenza di tali armi, offrirebbe la possibilità
di avviare un gigantesco impegno industriale e di ricerca per le operazioni di
smantellamento delle bombe esistenti e di messa in sicurezza di migliaia di
tonnellate di “esplosivi”, radioattivi e velenosi per millenni, altamente
pericolosi da maneggiare; sarebbe la più grande impresa economica, finanziaria
e di occupazione di tutti i tempi. Chi volesse saperne di più trova molte
informazioni nel recente libro, pubblicato dalle edizioni Ediesse a cura di
Mario Agostinelli e altri, intitolato: “Esigete ! un disarmo nucleare totale”.
L’11
aprile di 52 anni fa Giovanni XXIII nell’enciclica “Pacem in terris” affermava:
“Giustizia, saggezza ed umanità
domandano che si mettano al bando le armi nucleari e si pervenga finalmente al
disarmo integrato da controlli efficaci”. Gli ha fatto eco papa
Francesco nell’appassionato messaggio del 7 dicembre 2014 alla conferenza sulle
conseguenze umanitarie delle armi nucleari ripetendo: “Un mondo senza armi nucleari è davvero
possibile”. Che i governi partecipanti alla prossima riunione del
Trattato di non proliferazione, ascoltino queste parole e si incamminino
davvero verso un tale mondo nuovo.
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